Malta ha detto basta. In vista dell’estate, stagione propizia per i gommoni dei migranti in partenza dalla Libia e per la navi Ong che puntualmente, previa chiamata satellitare, li raccolgono in mare per portarli a Malta o a Lampedusa, il governo di La Valletta ha preso atto che l’Unione europea non ha fatto nessun passo avanti per risolvere il problema dei migranti, scaricando sempre la responsabilità dell’asilo sul primo paese di approdo. E il 28 maggio ha stipulato un accordo con il governo di Tripoli per istituire unità navali congiunte contro l’immigrazione illegale nel Mediterraneo. Come riporta The Times of Malta, l’accordo è stato firmato dal premier maltese Robert Abela e da Fayez al Sarraj, che guida il governo libico riconosciuto dall’Onu. L’iniziativa prevede che le motovedette maltesi coopereranno con quelle libiche per intercettare barconi e gommoni al fine di rimorchiarli e portarli indietro sulle coste della Libia. Sempre e comunque.
In pratica, è l’introduzione nel Mediterraneo centrale dello stesso metodo, quello dei respingimenti, attuato con successo dall’Australia nei riguardi dei tentativi di immigrazione via mare da parte di decine di migliaia di disperati che in passato tentavano di fuggire da alcuni paesi del Sud Est asiatico. Il premier maltese Abela, secondo The Times of Malta, si è deciso a compiere questo passo per porre «un freno concreto» al traffico di esseri umani, e come unica alternativa valida ai faticosi ricollocamenti dei migranti tra i paesi Ue.
Il semplice fatto che Malta abbia potuto stipulare un simile accordo, e che le firme dei due premier siano avvenute a Tripoli, conferma che ormai la guerra in Libia ha prodotto una stabile divisione in due del paese: da una parte il governo di Tripoli, guidato da al Serraj; dall’altra quello di Bengasi, capeggiato dal generale Khalifa Haftar, che un anno fa aveva tentato di rovesciare al Serraj per diventare l’unico rais libico. Come ItaliaOggi ha già raccontato il 22 maggio, l’offensiva di Haftar è stata un fallimento: in soccorso di al Serraj è intervenuta militarmente la Turchia di Recep Tayyp Erdogan, che ora è il vero dominus politico della parte occidentale della Libia e avrà per questo un ruolo decisivo sul controllo delle risorse petrolifere, comprese quelle in mare, tuttora da esplorare e contese da vari paesi mediterranei.
Quanto all’est libico, la Cirenaica, Haftar è di fatto commissariato dalla Russia di Vladimir Putin, intervenuto sì in suo aiuto, ma ora poco propenso a un confronto militare con la Turchia. Tanto è vero che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, ha incontrato ieri a Mosca un rappresentante del governo di Tripoli per esaminare la restituzione dei prigionieri russi catturati in Libia, e nell’occasione ha sollecitato «la cessazione delle ostilità e l’avvio di un dialogo tra tutte le parti del paese».
In questo scenario, è evidente che la Turchia ha soppiantato l’Italia nel ruolo di primo alleato del governo di al Serraj, come era stato indicato a suo tempo dall’Onu e dagli Stati Uniti. Non solo. Poiché la Turchia e Tripoli criticano la missione navale europea Irini, a guida italiana, incaricata di ostacolare i rifornimenti di armi ai belligeranti libici, e poiché al Serraj non ha esitato a definire tale missione «sbilanciata a favore di Haftar» che riceve rifornimenti militari per via aerea e terrestre dal vicino Egitto, nei giorni scorsi Giuseppe Conte ha telefonato al premier libico per ribadire «l’imparzialità e la neutralità della missione Irini». Con il risultato che, per Tripoli, l’Italia è passata da alleato a paese neutrale. In pratica un voltafaccia, che rischia di mettere in pericolo i militari schierati in Libia a protezione di un ospedale e delle ambasciate, oltre agli enormi interessi petroliferi che il nostro paese ha sempre avuto in Libia.
Quanto meno paradossale è poi il fatto che, in base all’accordo con Malta, il governo di Tripoli userà per i respingimenti proprio le motovedette che l’Italia gli ha fornito negli ultimi anni per pattugliare le coste e contrastare i mercanti di esseri umani. Un cambio d’uso che, essendo frutto di un accordo con Malta, costituisce un siluro per il nuovo corso politico del governo Conte-2 sui migranti, fondato sui porti aperti e sulla sanatoria dei clandestini. Infatti, Malta avrà buon gioco non solo nel respingere in Libia i gommoni a lei diretti, ma anche nel dirottare verso l’Italia quelli che non riuscirà a intercettare per tempo, almeno a suo dire.
Di certo, la riapertura italiana dei porti alle Ong e la notizia della sanatoria, per quanto generica, ha già provocato un aumento dei flussi clandestini nei primi cinque mesi del 2020. E nonostante la pandemia da Covid-19, gli sbarchi sono triplicati rispetto allo stesso periodo del 2019, passando da 1.568 a oltre cinquemila.
(estratto di un articolo pubblicato su Italia Oggi; qui la versione integrale)