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Società Dello Spettacolo

La società dello spettacolo

Il Bloc Notes di Michele Magno

“L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione”.

“Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rap­porto sociale fra persone, mediato da immagini”.

(Guy Debord, “La società dello spettacolo”, 1967).

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“In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche di proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali: l’idea s’ammette per isbieco in un aggettivo. Poi, non vera peste, vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente, peste senza dubbio, e senza contrasto: ma già ci s’è attaccata un’altra idea, l’idea del venefizio e del malefizio, la quale altera e confonde l’idea espressa dalla parola che non si può più mandare indietro. Non è, credo, necessario d’esser molto versato nella storia dell’idee e delle parole, per vedere che molte hanno fatto un simil corso. Per grazia del cielo, che non sono molte quelle d’una tal sorte, e d’una tale importanza, e che conquistino la loro evidenza a un tal prezzo, e alle quali si possano attaccare accessòri d’un tal genere. Si potrebbe però, tanto nelle cose piccole, come nelle grandi, evitare, in gran parte, quel corso così lungo e così storto, prendendo il metodo proposto da tanto tempo, d’osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare” (Alessandro Manzoni, “Promessi sposi”, cap. XXXI).

In questo passo il grande romanziere milanese descrive da par suo i sottili meccanismi -psicologici e sociali- attraverso cui la realtà di un pericolo incombente si trasforma in ossessione collettiva, e viene letta come congiura di micidiali poteri nascosti. Sono meccanismi che hanno caratterizzato, ancorché in forme e con intensità diverse, la storia delle epidemie nel corso dei secoli. Quella di oggi non fa eccezione. Per i No vax duri e puri non esistono i fatti (la verità dei dati e delle evidenze scientifiche), ma solo le interpretazioni.

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“In Italia ogni atto della vita pubblica ha due lati, uno apparente ed un altro nascosto: vi è la scena e la controscena, perché le tradizioni della tirannide secolare ci hanno abituati alla cospirazione. Onde non sappiamo pensare a qualche cosa che dovrebbe per se stessa prodursi alla luce del giorno senza apparecchiarla colla cospirazione” (Francesco De Sanctis, “Sopra Niccolò Machiavelli”, 1869). Il retroscenismo, o cospirazionismo, come aveva ben intuito il grande storico della letteratura italiana, fa parte della cultura profonda e viscerale degli italiani.

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Massimo Introvigne, tra i più eminenti studiosi delle società segrete e delle religioni minori, ha definito “metafisici” i complotti le cui finalità sono talmente astruse e vaghe da sfuggire a qualunque comprensione, talvolta perfino a quella degli stessi complottisti (“Gli Illuminati e il Priorato di Sion”, Piemme, 2005). Ciò significa che laddove la ragione fa cilecca, ci si affida a una volontà imponderabile come i fatti che essa intende determinare. La storia italiana presenta un vasto campionario di complotti metafisici.

 

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Nel suo ultimo volumetto (“Post-Coronial Studies”, Einaudi, 2021), il filosofo Maurizio Ferraris, dopo aver smontato magistralmente la favola degli “umani schiavi della tecnica” (semmai sono schiavi di altri uomini che si servono della tecnica), osserva che la democrazia si esercita anche attraverso la crescita dei documenti, a cui corrisponde una crescita dei diritti. La carta d’identità, la tessera sanitaria, la patente, la carta di credito, il certificato elettorale, e oggi il green pass, sono “prima di tutto strumenti abilitanti: permettono, molto prima e molto più che vietare”. In altre parole, i documenti sono la manifestazione di un diritto, che ovviamente comporta la nascita di un dovere, ma il gioco vale la candela.

Ferraris cita l’esempio dei servi medievali che non avevano documenti, erano dei sans papiers. Quando cominciarono a fuggire trovando asilo nei liberi Comuni, il primo atto a cui dovevano sottostare era di iscriversi nei registri delle parrocchie. Atto che aveva un prezzo, poiché li avrebbe costretti a pagare le tasse, ma in compenso nessun signore avrebbe potuto mettere le mani su di loro. Si estendeva così anche ai servi il diritto di “habeas corpus” che il re, in Inghilterra, aveva concesso ai baroni (con un documento, appunto, chiamato Magna Charta). Ora, io posso anche capire che questo discorso non sfiori nemmeno l’anticamera del cervello dei pittoreschi personaggi alla Don Ferrante che fanno casino nei talk show televisivi. Ma che venga liquidato con un’alzata di spalle da illustri pensatori, teorici del virus complottista e biopolitico, la dice lunga sul sonno della ragione all’epoca della pandemia.

 

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È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia cretino. Ma di intelligenti c’è stata sempre penuria; e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto ci assalgono quando ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini” (Leonardo Sciascia, “Nero su nero”, Adelphi, 1991).

 

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“Sulla scacchiera ciascun pezzo crede di godere di libero arbitrio ed invece no, la mano del giocatore li spiazza; anche il giocatore crede di godere di libero arbitrio, ma lui è diretto da un dio che, per ragioni letterarie, dipende a sua volta da altri dei. Si costituisce così tra i pezzi del gioco di scacchi una continuazione senza fine, una catena dalle maglie infinite. Io ho scritto su questo tema due sonetti intitolati “Scacchi“ ; sì, in tutti e due, il tema è il medesimo: i pezzi si credono liberi e non lo sono, dio si crede libero e non lo è, l’altro dio lo crede e non lo è, e così di seguito, infinitamente” (Jorge Luis Borges, “Reencuentro. Dialoghi inediti”, Bompiani, 2011).

 

 

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