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La prima polemica anticasta nell’Italia unita

Il Bloc Notes di Michele Magno

Come scrive Antonello Capurso nella sua “Storia dell’insolenza” (il Settimo Libro, 2014), la storia politica italiana ha una legge costante fin dai tempi di Giacomo Leopardi: “Gli uomini si vergognano, non delle ingiurie che fanno, ma di quelle che ricevono. Però ad ottenere che gli ingiuratori si vergognino, non v’è altra via, che di rendere loro il cambio” (“Pensieri”, 1845). Non è un caso, quindi, che proprio nel 1861 nasca la prima insolenza su larga scala dell’Italia unita, un motto che si diffonde rapidamente nella penisola: “Piove, governo ladro!”.

La sua popolarità risale a una vignetta umoristica, quando le opposizioni mazziniane e radicali -minoritarie e impossibilitate a far sentire adeguatatamente la propria voce in Parlamento- organizzarono una manifestazione antigovernativa. Ma nel giorno fissato piove, e la protesta salta. La rivista satirica “Il Pasquino” pubblica allora un disegno, firmato dal principe dei caricaturisti piemontesi Casimiro Teja, con tre mazzininiani al riparo dalla pioggia battente e, sotto, la didascalia: “Governo ladro, piove!”. Il successo è tale che l’esclamazione diventa subito un mezzo per svillaneggiare il ladrocinio di qualunque governo in carica.

Nel 1862 si afferma sulle scene ancora acerbe dell’insulto nazionale, come ricorda sempre Capurso, il primo grande “insolente”: Ferdinando Petruccelli della Gattina, ex deputato della Sinistra, inventore del “colore” nel giornalismo italiano, autore di un volumetto scandaloso, “I moribondi del Palazzo Carignano”. “Uscì allora -osserva lo storico ottocentesco Giacinto de’ Sivo, che pure detestava la monarchia sabauda- un Ferdinando Petruccelli, uomo di sconvolto ingegno e animo astioso; il quale s’era fatto notare qualche anno prima scrivendo male di tutti gli scrittori d’una strenna letteraria. Egli tolsevi il carico di calunniare; inventava dispacci, dava l’allarme, e spingeva tutto a ribellione” (“Storia delle due Sicilie”, 1868).

Il pamphlet di Petruccelli è l’archetipo delle odierne polemiche anticasta, animato dall’intento di recuperare gli ideali risorgimentali. Lo spunto nasce da una serie di reportage redatti come corrispondente del giornale francese “La Presse”, in cui si raccontano retroscena, personaggi ed eventi della politica del nuovo regno, con un affresco a tutto tondo del primo Parlamento, a cominciare dall’ignominioso censimento degli eletti: “Su 438 deputati vi sono: 2 principi; 3 duchi; 29 conti; 23 marchesi; 26 baroni; 50 commendatori o gran croci; 117 cavalieri; 135 avvocati; 25 medici; 10 preti; 21 ingegneri; 4 ammiragli; 23 generali; un prelato; 13 magistrati; 52 professori o dantisi come tali; 8 commercianti o industriali; 13 colonnelli; 19 ex ministri; 5 consiglieri di Stato; 4 letterati; un bey nell’Impero ottomano, il signor Paternostro; 2 prodittatori; 2 dittatori; 7 dimissionari; 5 morti che non contano più, ben inteso; 69 impiegati; 5 banchieri; 6 maggiori; 25 nobili senza specifica di titolo; altri senza alcuna disegnativa di professione; e Verdi! il maestro Verdi. Non si dirà per certo giammai che il nostro è un Parlamento democratico! Vi è di tutto, il popolo eccetto”.

Una casta, insomma, i cui privilegi sono messi alla berlina: “Voi andate ai balli di Corte. Voi partecipate a certi banchetti nelle grandi occasioni. Voi non pagate spese di posta. Voi non potete essere giudicati per tutto il tempo che dura la sessione. Voi potete fare debiti, si fa credito a un deputato!”. Nel tritacarne finiscono anche Francesco De Sanctis, che “sa di politica quanto gli uscieri della Camera”, e Carlo Poerio, che “è una reliquia. Lo si imbandisce nelle tavole ministeriali, come un oggetto di curiosità egiziana e di appetito ben conservato -perché la poca forza che resta a questo gran martire si è concentrata nelle mascelle, mascelle potenti”.

Mai si era visto un tale furore concentrato in un’invettiva così velenosa contro il mondo politico. Petruccelli inaugura un sistema libellistico che avrà grande fortuna, sdoganando l’insulto personale diretto, anche diffamante se occorra, scagliato a freddo e studiato per ottenere la massima risonanza possibile nell’opinione pubblica.

Ho dimenticato di dire che avrà grande fortuna fino ai nostri giorni, perché il futuro ha [sempre] un cuore antico, come recita il titolo di un celebre libro di Carlo Levi.

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