Non ci sono due Leghe. La Lega è una sola. “Mi viene da ridere. Non hanno capito un… Diciamo che non hanno capito niente della Lega. La nostra scelta (di entrare nel governo Draghi ndr) non è stata affatto combattuta, ha coinvolto segreteria, organi dirigenti, governatori. E non è stata una decisione, per capirci, da 60% contro 40%, ma tutti l’abbiamo vista alla stessa maniera”. Roberto Calderoli così ha risposto a Daniele Capezzone in una significativa intervista per La Verità di ieri. Capezzone ha posto una domanda chiave, sui vecchi schemi che i giornali mainstream hanno ripreso a proporre, a uno degli interlocutori più titolati a rispondere, per storia, curriculum, peso politico nella Lega Nord di ieri e nella Lega nazionale di oggi, a quel Calderoli, anello di congiunzione tra passato e presente, ex coordinatore delle segreterie del Carroccio e ora esponente di punta della segreteria di Via Bellerio, vicepresidente del Senato. È lo schema classico, accarezzato da sempre dalla sinistra che preferirebbe vedere la Lega confinata a forza territoriale del 3 o 4 per cento. E, quindi, fa gioco rappresentare “una Lega divisa, ministri e governatori leali ma distanti da Savini”. Calderoli se la ride “non hanno capito un…. di Lega”.
Per chi ha seguito la Lega di ieri e di oggi Calderoli coglie nel segno. Comunque si pensi, stando alla cronaca dei fatti, la struttura di quel partito è rimasta a falange, come l’aveva concepita e creata Umberto Bossi, ovvero un corpo compatto, dove naturalmente convivono anche varie e importanti sensibilità, ma che alla fine si muove “come un sol uomo” e dove fa la sintesi uno solo, il segretario che decide dopo aver ascoltato tutti. Concetto recentemente più volte ribadito da Matteo Salvini. Non è uno slogan, ma un fatto. In effetti, la Lega per molti osservatori è rimasta sempre un po’ un enigma.
Più seguita dal mainstream in realtà nei Palazzi romani che sul pratone di Pontida o comunque su quei territori dove governa a Nord e ormai anche nel resto d’Italia, spesso per descriverla si procede per raffigurazioni meccaniche, in base alle quali ci sarebbero due Leghe. E, invece, il partito-movimento è sempre uno solo. Spiegò una volta alla cronista Giancarlo Giorgetti, il numero due leghista, ora ministro dello Sviluppo economico, che la tradizione del raduno di Pontida e quella spilletta raffigurante il guerriero Alberto da Giussano, che Salvini decise di far restare sulla giacca di dirigenti e parlamentari, ben si conciliavano con la Lega nazionale. “Perché — disse con un esempio molto in stile Pontida — il ‘ Barbarossa’ da sconfiggere ora è ovunque, nella burocrazia, nella tassazione, nel blocco della crescita, dello sviluppo…”. Erano gli albori del progetto nazionale e allora una Lega in versione cosiddetta “sovranista” vedeva il Barbarossa anche in certa “tecnocrazia Ue”.
La battaglia è rimasta, ma con un premier dall’influenza e il prestigio così forte in Europa come Mario Draghi la Lega vede, già dalle sue prime parole, come quelle sulla distribuzione degli immigrati, una importante leva per far valere l’interesse nazionale a Bruxelles. E, comunque, Calderoli spiega che è sbagliata la vecchia lettura secondo la quale la Lega avrebbe fatto questa scelta per obbedire alle richieste solo degli elettori del Nord: “Non abbiamo pensato al Nord, al Centro e al Sud, ma a una risposta complessiva per tutto il Paese”. La risposta della Lega, una sola, primo partito italiano, in base alle elezioni dopo le Politiche del 2018, e ai sondaggi. Che ha l’ambizione di proporsi come partito architrave del sistema politico, rappresentativo in modo trasversale dei ceti sociali, ora che il Pd e la vecchia alleanza giallo-rossa con i Cinque Stelle sono usciti fortemente ammaccati dal tramonto del governo Conte/2.
Non a caso, Calderoli con Capezzone rilancia contro il ritorno al proporzionale “una federazione, già proposta da Salvini, di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia”, anche se FdI è ora all’opposizione ma sempre parte integrante del centrodestra, “per rafforzare l’idea maggioritaria”.