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Kosovo

Vi racconto la nuova guerra fredda tra Usa e Cina

L'analisi del generale Carlo Jean

Fra gli Usa e la Cina è in atto una competizione per la leadership mondiale. Secondo i sostenitori della Temistocles Trap, essa è un classico esempio di contrasto fra grandi potenze, simile a quello esistente fra la Germania e la Gran Bretagna all’inizio del XX secolo. L’interdipendenza economica allora esistente è simile a quella attuale, ma non impedirà lo scoppio di una guerra totale. Secondo altri, invece, sta dando origine a una nuova guerra fredda, caratteristiche molto diverse da quella del secolo scorso fra l’Occidente e il Blocco Sovietico. In essa gli Usa adottarono sin dall’inizio una strategia ben precisa, condivisa sia al loro interno sia dai loro alleati. Era già stata descritta nel 1946, nel famoso telegramma da Mosca di George Kennan e poi ufficializzata nel 1948 dalla Dottrina Truman. Essa prevedeva il contenimento dell’Urss, tramite la dissuasione nucleare, unito all’offensiva ideologica e economica. Quest’ultima, fondata sulla certezza della superiorità del sistema liberal-democratico su quello comunista e sul capitalismo di Stato, avrebbe portato l’Occidente alla vittoria.

Oggi, gli Usa non dispongono di una strategia né, tanto meno, di una condivisa con i loro alleati, ciascuno dei quali ha interessi diversi nei riguardi della Cina. Per molti di essi, gli Usa non sono più “la nazione indispensabile”. Il Primo Ministro italiano è addirittura giunto, confermando ancora una volta una scarsa consapevolezza in politica estera, a porre sullo stesso piano Usa e Cina. Ma gli Usa, come peraltro molti loro alleati sono divisi al loro interno fra gli imprenditori, che vogliono accedere al mercato cinese e i fautori del contenimento dell’espansione economica e dell’aggressività geopolitica di Pechino. Comunque, è certo che Biden continuerà la politica di Trump di forte contrasto alla Cina. Basta avere una conoscenza anche superficiale della teoria del commercio internazionale per rendersene conto.

La Cina possiede invece una sua precisa strategia globale. In un primo tempo, è volta a contrastare l’egemonia economica e militare americana. In un secondo, a conseguire una superiorità prima nell’Eurasia e nel sistema indo-pacifico. Poi, nel mondo. Grazie anche al Covid-19 la sta attuando con flessibilità e determinazione. Il Pil cinese supererà quello americano alla fine di questo decennio, con circa cinque anni d’anticipo rispetto a quanto previsto prima della pandemia. L’ammodernamento militare, soprattutto navale, spaziale e cibernetico, prosegue a ritmi serrati. Xi Jinping ha affermato che la PLA sarà in grado di vincere una guerra globale nel 2049, anno del centenario della costituzione della Repubblica Popolare. Con una generosa “diplomazia sanitaria anti-Covid, la Cina ha rafforzato la sua influenza in molti Stati. La recente politica di rafforzare il mercato interno ha attenuato molti timori sull’aggressiva espansione all’estero, sull’utilizzazione della “trappola del debito” e sulla natura geopolitica e non solo economica del programma BRI – “Nuova Via della Seta”.

A differenza del confronto con l’Urss, gli Usa non possono basare la loro strategia nei riguardi della Cina sull’isolamento economico né contrastare la crescente aggressività di Pechino con una dissuasione puramente statica, che lasci l’iniziativa a Pechino. Prima che militare, la nuova guerra fredda è economica, tecnologica e finanziaria. Contrariamente a quanto spesso affermato è anche ideologica. Il sistema autoritario e di controllo dell’economia cinese – unitamente a quello russo – costituisce un modello per gli autoritarismi e i sovranismi in crescita in tutto il mondo. Si contrappone al sistema democratico e liberale, basato su regole condivise. La Cina ha dimostrato la sua efficienza sia in economia sia nella lotta alla pandemia.

Il mondo non può essere de-globalizzato se non marginalmente, sia per l’aumento della regionalizzazione sia nelle supply chains delle produzioni più strategiche. La Cina non può quindi essere isolata, anche perché il suo apporto rimane essenziale per affrontare i problemi globali, come il clima e le pandemie. Si è sviluppata anche tecnologicamente. Gli Usa non dominano più molte delle tecnologie “duali”. Gli interessi dei loro alleati nei riguardi della Cina sono differenti. Un contenimento economico molto duro, che dovrebbe comportare anche l’embargo delle tecnologie strategiche, è impraticabile. Distruggerebbe molte delle alleanze degli Usa. La conclusione da parte dell’Ue con la Cina dell’accordo sugli investimenti e, da parte degli alleati asiatici degli Usa di importanti accordi commerciali (Rcep e Cptpp), immediatamente prima dell’“inaugurazione” della presidenza Biden, dimostrano quanto sia diminuita l’influenza americana.

Il nuovo presidente americano avrà difficoltà di realizzare l’unità delle democrazie in funzione anticinese, se non in innocui appelli per il rispetto dei diritti umani. Tale unità è però indispensabile per la sopravvivenza della Nato e, nel sistema indo-pacifico, del Quad (Quadrilateral Security Dialogue).

Il primo obiettivo a cui dovrebbe tendere Biden, magari già dal Summit delle Democrazie (o D-10) che ha detto di voler organizzare nei prossimi mesi, è convincere gli alleati degli Usa del pericolo della sfida cinese. È cessata ogni illusione, accarezzata all’inizio del secolo, che la crescita economica avrebbe trasformato la Cina quasi in una democrazia liberale. Tale convinzione, come disse Nixon già all’inizio degli anni ’90, gli aveva impedito di capire che andando con Kissinger a Pechino nel 1972, stava creando un nuovo Frankenstein.

Per non diventare vittima della storia, l’Occidente deve pensare strategicamente, facendo sì che i suoi interessi economici o politici immediati non prevalgano su quelli del futuro a lungo termine.

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