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1 Maggio Usa Ue

La mitologia del “cittadino-consumatore-moderato”

Selezionare un personale elettivo che curi esclusivamente l’interesse generale è in democrazia “mission impossible” (o quasi). Lo aveva capito Gaetano Mosca, un conservatore a tutto tondo. Il Bloc Notes di Michele Magno

Selezionare un personale elettivo che curi esclusivamente l’interesse generale è in democrazia “mission impossible” (o quasi). Lo aveva capito Gaetano Mosca, un conservatore a tutto tondo. Per il padre della scienza politica moderna gli elettori non premiano i più dabbene e i più capaci, ma i più pronti ad assecondarli. In questo senso, lo scandalismo è stato sempre un buon combustibile per i professionisti della demagogia. Beninteso, una politica rispettosa della legalità è cosa necessaria e buona. Ma le radici della cattiva politica non affondano soltanto nella politica medesima, come se la società italiana fosse un’oasi incontaminata di virtù civiche.

Lo sappiamo da molto tempo: la violazione delle regole non solo vi è ammessa largamente, ma è un lubrificante del suo funzionamento. D’altronde, chi non ha mai parcheggiato in doppia fila o ha dimenticato di chiedere la fattura all’idraulico? Un pezzo di economia prospera solo così. Si può alzare “il costo morale dell’immoralità” (codici etici di partiti, imprese, pubbliche amministrazioni) quanto si vuole, ma niente potrà sostituire la forza cogente del diritto: leggi ben fatte, processi celeri, certezza della pena, magistratura inquirente efficiente, forze dell’ordine dotate di mezzi adeguati. Non servono insomma poteri straordinari contro la corruzione. Serve che i poteri ordinari vengano esercitati con straordinario rigore. Tutto il resto è noia, come recita una celebre canzonetta.

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Se le ossessioni securitarie e la grammatica del populismo sono profondamente penetrate nelle fasce più periferiche e marginali dei ceti più deboli, la sinistra e lo stesso sindacalismo confederale non possono chiamarsi fuori. Perché si tratta di un processo che si delinea già alla vigilia della Seconda Repubblica, colpevolmente rimosso anche per una lettura scadente e approssimativa dei cambiamenti che si stavano aggrumando in quello che -per convenzione- si chiama modello produttivo postfordista. Beninteso, il voto a destra di vasti strati popolari non è stato solo un fenomeno italiano. Si è manifestato anche nelle culle della socialdemocrazia europea, in cui la centralità laburista ha ceduto il passo ad una rappresentanza “pigliatutto” degli interessi sociali.

Occorre però chiedersi se da noi un partito di sinistra “pigliatutto” possa rinunciare a un forte radicamento nella realtà del lavoro salariato. La domanda non è oziosa, in quanto -a ben vedere- è proprio intorno a questo nodo che ruota buona parte del confronto interno al Pd. A mio avviso, sulla risposta non dovrebbero esserci dubbi. Se infatti non si riescono a rappresentare i bisogni e le aspirazioni di quella realtà, che riguarda circa i due terzi degli occupati, non si va da nessuna parte. Per esserne convinti, basterebbe dare un’occhiata al ciclo elettorale del decennio alle nostre spalle.

L’Ulivo e l’Unione hanno vinto quando il consenso delle tute blu (e dei pensionati) si è spostato a loro favore. Hanno perso quando il pendolo di quel consenso ha oscillato verso Bossi e Berlusconi. Per essere più precisi, nel 2008 il Pd ha perso (sia pure onorevolmente) per un’offerta di modernità priva di solidi ancoraggi sociali e indeterminata nelle sue concrete articolazioni programmatiche. Lo ha testimoniato anche il supermarket delle candidature: operai e imprenditori, sindacalisti degli uni e sindacalisti degli altri. Dopo ogni sconfitta nelle urne, lo slogan “ripartire dal lavoro” è così puntualmente riapparso nella kermesse delle parole e delle immagini. Senza che venisse scalfito, comunque, il paradigma politologico che vuole l’elettore “mediano” arbitro della contesa bipolare. In altri termini, senza sottoporre a un serio vaglio effettuale le arcane alchimie politiche escogitate per conquistare il “cittadino-consumatore moderato”. Perseverando nell’adesione acritica a quel paradigma, il partito di Nicola Zingaretti forse si potrà vantare di aver salvato l’Italia, ma non il reddito e i diritti dei suoi cittadini meno abbienti.

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