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La minestra riscaldata di Macron e Scholz

L'articolo di Macron e Scholz sul Financial Times letto e commentato da David Carretta nella newsletter Mattinale Europeo con Christian Spillmann

 

Emmanuel Macron e Olaf Scholz hanno scelto il Financial Times per annunciare la “Zeitenwende” dell’Unione Europea di fronte alla guerra di aggressione della Russia, la minaccia economica della Cina, il pericolo del ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e gli altri sconvolgimenti globali che rendono la nostra Europa “mortale”. Ma la “svolta epocale” dell’Ue può attendere. Una volta superate le prime righe della premessa – “l’Europa sta vivendo la sua Zeitenwende (…). La nostra Europa è mortale e dobbiamo essere all’altezza della sfida” – il presidente francese e il cancelliere tedesco offrono altro “business as usual”: un programma per i prossimi cinque anni che non affronta le decisioni difficili che le sfide che ha di fronte l’Ue comportano, limitato dalle numerose linee rosse della Germania. Prima del loro incontro a Meseberg, che segue due anni di relazioni franco-tedesche conflittuali, i due leader hanno cercato di mostrare la loro capacità di lavorare su obiettivi comuni. Ma il risultato è molto al di sotto delle aspettative.

Zeitenwende è un termine tedesco che significa “svolta epocale”, tornato di moda dopo il discorso di Scholz al Bundestag all’indomani dell’invasione dell’Ucraina, nel quale il cancelliere ha annunciato un fondo da 100 miliardi di euro per la difesa della Germania e la volontà di uscire dalla dipendenza dall’energia russa. Nell’articolo sul Financial Times, Macron ha ottenuto da Scholz una prima frase a effetto, che ricalca gli avvertimenti lanciati nel suo secondo discorso della Sorbona sui pericoli esistenziali che corre l’Ue.

Nel concreto, la ricetta della loro (finta) Zeitenwende è una sintesi di ciò che è già stato deciso o discusso, che difficilmente può ispirare fiducia nelle capacità di sopravvivenza politiche ed economiche dell’Ue, per non parlare degli elettori che andranno alle urne il 6-9 giugno. La prima proposta è un “impeto rinnovato per la competitività” con i soliti slogan su “più innovazione, più mercato unico, più investimenti, più parità di condizioni e meno burocrazia”. Non ricorda nulla? E’ l’impegno assunto al Consiglio europeo di aprile.

Nell’articolo non manca l’appello macroniano per “rafforzare la sovranità dell’Ue e ridurre le nostre dipendenze critiche” e il solito richiamo al vertice di Versailles del marzo del 2022. Tuttavia per la politica industriale (dall’Intelligenza artificiale alle tecnologie verdi) si deve semplicemente accelerare l’utilizzo degli “strumenti dell’Ue esistenti”. Le regole della concorrenza vanno “modernizzate”, ma non è chiaro come. Nemmeno sul commercio internazionale, Macron e Scholz sono riusciti ad avvicinare le loro posizioni su un cambio di direzione (per non parlare di un cambio di epoca) significativo. “Sosterremo insieme una politica commerciale europea ambiziosa, robusta, aperta e sostenibile che permetta accordi commerciali equi e promuova gli interessi dell’Ue”. Nucleare o rinnovabili? La decarbonizzazione sarà realizzata attraverso “un mercato pienamente integrato e interconnesso, rispettando le scelte nazionali sul rispettivo mix energetico”. Nulla di nuovo sul Financial Times.

I bruxellelogi – gli osservatori politici di affari europei che cercano di imitare i cremlinologi di vecchia data – hanno dovuto scorrere rapidamente questa lunga serie di banalità per arrivare al dunque: la montagna di investimenti necessari all’Ue per la doppia transizione verde e digitale e il rafforzamento della difesa. Anche su questo capitolo sono rimasti delusi. Il richiamo all’Unione dei mercati dei capitali per usare i risparmi europei che emigrano verso gli Stati Uniti ricalca sempre le conclusioni del Consiglio europeo di aprile: migliorare la convergenza e l’efficienza della vigilanza, armonizzare aspetti rilevanti delle leggi sull’insolvenza societaria e del diritto fiscale, semplificare il quadro normativo. E gli investimenti pubblici? “Dobbiamo adeguare il bilancio dell’Ue al futuro e dare ulteriore priorità agli investimenti nella spesa per la trasformazione e nei beni pubblici europei, lavorando al contempo sull’introduzione di nuove ‘risorse proprie’ come concordato nel 2020”.

Avete letto bene: la Zeitenwende finanziaria risale a quattro anni fa. Prima del Green deal, prima del Covid-19, prima della guerra della Russia contro l’Ucraina. Nell’articolo sul Financial Times non c’è alcun accenno a nuovi strumenti di debito comune o Eurobond per la difesa, come quelli proposti da Kaja Kallas. E nemmeno alla volontà di Emmanuel Macron di raddoppiare il bilancio dell’Ue. La linea frugale di Scholz prevale. Non è un caso se la presidente uscente della Commissione, la tedesca Ursula von der Leyen, candidata del PPE e soprattutto garante degli interessi del suo paese, ha indicato di preferire nuove “risorse proprie” a un nuovo strumento di debito. Per memoria: le risorse proprie sono le entrate autonome del bilancio dell’Ue, attualmente sotto forma di dazi doganali e una parte dell’Iva. Tradotto, significano nuove tasse.

Mujtaba Rahman, dell’Eurasia Group, su X ha inserito l’agenda promessa di Macron e Scholz per i prossimi cinque anni nella categoria “minimo comune denominatore” e “deludente”. Se si tradurrà nell’agenda strategica dell’Ue che i leader dei ventisette adotteranno al Consiglio europeo il 27 e 28 giugno per la prossima legislatura. La prudenza e le esitazioni Scholz saranno prevalse. Il cancelliere tedesco rischia però di sottovalutare la vera “Zeitenwende” che è in corso tra i tradizionali alleati della Germania tra i paesi frugali. I paesi baltici hanno già abbandonato la loro opposizione a uno strumento di debito comune per rafforzare la difesa dell’Ue e affrontare la minaccia della Russia. Anche la Danimarca sta cambiando posizione. “Siamo aperti a discutere… idee innovative, sia che si tratti di utilizzare i proventi dei beni russi congelati per finanziare un nuovo prestito comune per investire in Ucraina, o obbligazioni di difesa o altro”, ha detto a Politico.eu il ministro degli Esteri danese, Lars Løkke Rasmussen.

(Estratto dalla newsletter Il Mattinale Europeo)

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