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Legge

Tutte le armi del capitalismo politico americano contro la Cina

Gli Stati Uniti utilizzano il diritto come un'arma geopolitica per colpire la Cina. La recensione di "La legge del più forte", il saggio dell'avvocato Luca Picotti per Luiss University Press

 

Sviluppato con successo da Alessandro Aresu, il concetto di capitalismo politico torna in primo piano nel saggio fresco di stampa dell’avvocato Luca Picotti, La legge del più forte. Il diritto come strumento di competizione tra Stati (Luiss University Press), che ha il merito di metterne in rilievo il volto giuridico rappresentato dalle stringenti normative sul controllo degli investimenti stranieri in vigore in Paesi  come gli Usa dove poteri speciali – e contrari, in astratto, alle regole del libero mercato – sono attribuiti ai attribuiti ai governi al fine di bloccare operazioni lesive dell’interesse nazionale. È la “geopolitica del diritto” applicata in particolare allo scontro in corso tra Washington e Pechino. Ecco la nostra recensione che si sofferma sul caso di scuola americano.

Libero mercato adieu

Gli Stati Uniti d’America sono universalmente noti come libero mercato per antonomasia e terra di opportunità per individui che, non vincolati dall’ingombrante potere dello Stato, possono perseguire fino in fondo i loro sogni di benessere economico e ricchezza.

Ma, come scrive Picotti, questa immagine non rispecchia una realtà in cui, più che le libertà dei cittadini, spicca l’esistenza di “un complesso apparato burocratico (dai) tratti più propriamente protezionistici”. Una realtà fatta di “poteri del presidente, legami tra grandi imprese e servizi di intelligence, finanziamenti pubblici nella tecnologia, comitati di scrutinio degli investimenti, potenti dipartimenti a controllo dell’export”.

Il capitalismo politico

Per inquadrare tale realtà, l’autore richiama il concetto avanzato da Alessandro Aresu di “capitalismo politico”, per riferirsi alla peculiare situazione di uno sviluppo capitalistico profondamente intrecciato non solo con la “proiezione imperiale” degli Usa, ma soprattutto con l’interesse nazionale.

L’armamentario

In questo contesto, osserva Picotti, si inserisce la disciplina statunitense di controllo degli investimenti esteri: quel “complesso armamentario giuridico costituito da sanzioni, blocchi all’export, clausole di priorità nazionale”. Questo è il modo con cui gli Usa asservono il diritto in funzione delle mire strategiche fissate dal governo.

Normativa rilevante

Le origini di tale impianto giuridico risalgono lontano, ossia al Defence Protection Act del 1950, che rappresentò una delle prime normative in tema di screening degli investimenti esteri diretti.

Applicata in modo limitato nei primi decenni, la normativa viene rafforzata nel 1975 con l’istituzione del Committee on Foreign Investment in the United States (Cfius), un comitato interdipartimentale che ha lo scopo di assistere il presidente nel monitoraggio degli investimenti esteri.

Il Comitato ha poteri di controllo e istruttori che gli riservano un ruolo di straordinaria importanza nel processo decisionale, che rimanda in definitiva al potere del presidente di proibire o sospendere fusioni o acquisizioni di società americane nel caso si ritenga che l’interesse straniero possa compromettere la sicurezza nazionale.

Tale disciplina sarebbe stata potenziata nel 1993 con un emendamento che assegna al Comitato l’obbligo di riesaminare gli investimenti che coinvolgano il controllo da parte di un governo straniero dell’impresa che risulterà dall’operazione.

Ampliamento degli strumenti

Se questa normativa nei primi anni ha visto un’applicazione molto limitata, con un solo diniego su oltre 1.700 operazioni notificate al Cfius, l’evoluzione del panorama globale ne ha riportato al centro dell’attenzione l’attività e i poteri alla luce di alcune novità quali:

  • nuove operazioni aggressive e dal significativo impatto politico da parte di aziende straniere;
  • emergere di nuovi investitori asiatici e mediorientali non legati da solide alleanze;
  • rinnovata attenzione per la sicurezza nazionale dopo gli attentati dell’11 settembre 2001;
  • “palese intersezione tra sicurezza e tecnologia, per cui diverse infrastrutture (energia, trasporti, alimentazione) iniziano a essere considerate sensibili anche a causa dei dati e dell’interconnessione”.

Si arriva così al varo nel 2007 del Foreign Investment and National Security Act, che irrigidisce l’obbligatorietà dell’istruttoria preventiva.

La normativa vigente enfatizza la fase istruttoria del Comitato, il quale può alternativamente “concedere il nullaosta all’operazione; condizionarlo all’adozione di determinate misure volte a mitigare i rischi per la sicurezza nazionale dell’operazione; non assumere conclusioni e rimettere ogni decisione al presidente; proporre al presidente l’esercizio dei poteri – solo a lui concessi – di sospensione o divieto dell’operazione”.

Risalta qui il definitivo potere di veto attribuito al Presidente, che la normativa inquadra come il “sommo garante della sicurezza nazionale e l’unico che può determinare la sua preminenza rispetto alle libertà economiche”.

Crescita degli interventi

Gli effetti di questa struttura decisionale si possono constatare alla luce degli interventi del Cfius: 65 le notifiche effettuate nel 2009, contro le 114 del 2012 e le 143 del 2015, un aumento che segnala come il concetto di sicurezza nazionale venga sempre più dilatato e applicato alle operazioni di mercato.

Ultimo atto

A suggellare questa realtà è l’ultimo atto di questa sequenza, ossia l‘emanazione del Foreign Investment Risk Review Modernization Act (Firrma), divenuto efficace l’11 novembre 2018. Una legge che amplia “il novero degli oggetti delle operazioni da scrutinare, comprendendo ad esempio anche determinati investimenti immobiliari che, in virtù della loro ubicazione prossima a basi militari statunitensi, possano rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale”.

Lo scontro Usa-Cina

Questo complesso apparato normativo viene oggi applicato da Washington per affrontare la più importante sfida geopolitica di questo tempo, quella con la Cina, in una cornice di serrata competizione economica, commerciale e tecnologica che ha ampliato il concetto di rischio per la sicurezza nazionale fino a ricomprendere, sottolinea Picotti, “la potenziale perdita di competitività tecnologica”.

Un caso emblematico dell’utilizzo discrezionale dei poteri speciali in ottica geostrategica ha riguardato la difesa della competitività delle imprese statunitensi nel cruciale mercato delle tecnologie 5G. E qui, rimarca l’autore, “siamo al cuore della geopolitica del diritto: quello che conta è affermare la propria supremazia sull’avversario”.

Si pone su questa scia il veto posto da Donald Trump sull’acquisizione di Musical.ly da parte della cinese ByteDance Ltd., il famoso caso TikTok motivato con la necessità di prevenire un utilizzo dei dati degli americani da parte dei cinesi.

Conclusione: la geopolitica del diritto

La conclusione cui giunge Picotti è che esiste ormai un “profondo rapporto tra interesse nazionale, potere sovrano, uso geopolitico del diritto”. Il vasto e armamentario giuridico di cui si sono muniti gli Stati Uniti per difendere i propri interessi strategici conferiscono loro la “possibilità di colpire, sanzionare, bloccare, condizionare persone fisiche, società, Paesi interi”.

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