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Xi

La Cina fornisce missili all’Arabia Saudita (e Trump chiude un occhio?)

C’è intesa tra Cina ed Arabia Saudita. Un’intesa che, negli Usa, non può che far alzare qualche sopracciglio. L'approfondimento di Marco Orioles

 

La guerra civile inter-islamica in corso tra il campo sciita guidato dall’Iran e quello sunnita capitanato dall’Arabia Saudita ha da tempo superato il livello di guardia, ma potremmo non aver ancora visto il peggio.

Arrivato attraverso una rivelazione della Cnn, l’ultimo campanello d’allarme, che rimbalza istantaneamente sui media globali, è di quelli da seguire con estrema attenzione. Secondo l’intelligence Usa, l’Arabia Saudita ha chiesto e ottenuto l’assistenza della Cina per perfezionare il proprio programma balistico e potrebbe adesso disporre di vettori capaci di montare testate nucleari.

Non è tutto: l’amministrazione Trump sarebbe al corrente di tutto ma avrebbe deciso di mantenere all’oscuro il Congresso. Già sul piede di guerra con il presidente per il sostegno troppo smaccato ad un regime considerato alla stregua di uno Stato canaglia, i senatori Usa – che hanno ottenuto attraverso altri canali le informazioni sui nuovi missili sauditi – sospettano ora che la Casa Bianca abbia deciso di chiudere un occhio di fronte agli affari cinesi di Riad.  Che mettono a repentaglio un regime internazionale di contrasto della proliferazione delle armi di distruzione di massa pensato anche per impedire che in Medio Oriente abbia luogo un olocausto nucleare.

In base al Missile Technology Control Regime, un patto informale siglato nel 1987 da 35 Paesi, l’Arabia Saudita non può ricevere missili balistici né la tecnologia per realizzarli. Il problema è che la Cina, che non è tra i firmatari, già in passato è venuta incontro alle esigenze militari di Riad. Come hanno ricordato ieri vari giornali, tra cui il Daily Mail, Pechino ha venduto a Riad decine di missili a medio raggio Dongfeng DF-3A, che sono stati esibiti per la prima volta in una parata militare del 2014.

Fino a poco tempo fa, tuttavia, negli ambienti militari si dava per assodato che l’Arabia Saudita non fosse ancora in grado di fare tesoro del sostegno esterno per fabbricarsi in casa dei missili. Un assunto che viene ora rimesso in discussione dalle nuove informazioni di intelligence, che fanno capire che il Regno potrebbe aver fatto il gran salto tecnologico.

Ma cosa contiene il report d’intelligence in questione? Oltre a visionarlo, la Cnn l’ha fatto analizzare dai ricercatori del Middlebury Institute of International Studies. Di fronte alle immagini satellitari acquisite dagli Usa lo scorso novembre (e su cui a gennaio era già intervenuto il Washington Post), gli esperti del MIIS sono giunti alla conclusione che i sauditi hanno messo in piedi, nei pressi di una vecchia base missilistica che sorge nella città di Al-Watah, uno stabilimento nel quale si realizzerebbero missili a combustibile solido, i più temibili perché in grado di essere lanciati in tempi molto più rapidi rispetto alle versioni a combustibile liquido. Le immagini non lascerebbero spazio a dubbi: in quella fabbrica, è la sentenza, ci sono le impronte del Dragone.

Interrogato sulla rivelazione della Cnn, il ministero degli Esteri cinese non solo non nega, ma – con una dichiarazione riportata dalla stessa emittente – sottolinea che Cina ed Arabia Saudita sono “partner strategici” e hanno “una cooperazione amichevole in tutte le aree, inclusa quella della vendita delle armi”. Precisa tuttavia, il dicastero, che tale cooperazione “non viola alcuna legge internazionale” né ha come conseguenza “la proliferazione di armi di distruzione di massa”.

Le parole giunte da Pechino hanno l’effetto di attirare l’attenzione su un rapporto che negli ultimi tempi si è fatto ancor più stretto. Non è passato inosservato che il presidente cinese Xi Jinping, al G20 di Buenos Aires dello scorso dicembre, sia stato tra i pochi leader che non hanno mantenuto dietro un cordone sanitario il principe saudita ed erede al trono Mohammed bin Salman (Mbs), ossia il sospetto architetto del brutale assassinio, avvenuto poche settimane prima nel consolato saudita di Istanbul, del giornalista dissidente Jamal Khashoggi. In quell’occasione, Xi fece anzi un chiaro endorsement delle politiche di Mbs affermando che la Cina “sostiene fermamente l’Arabia Saudita nella sua spinta alla diversificazione economica e alle riforme sociali, e fornisce sostegno reciproco su questioni che riguardano i loro interessi principali”.

Xi ed Mbs si sono rivisti poi a Pechino a febbraio per firmare 35 accordi economici per un valore di 28 miliardi di dollari, inclusa un’intesa con la compagnia petrolifera di Stato saudita Aramco per lo sviluppo di una raffineria. “La Cina è un buon amico e un partner per l’Arabia Saudita”, ha affermato in quell’occasione Xi Jinping, lieto di ascoltare dal suo interlocutore che “(l)’iniziativa della Via della Seta e l’orientamento strategico della Cina sono molto in linea con Vision 2030”, il piano di sviluppo economico del Regno disegnato da Mbs.

C’è intesa, insomma, tra Cina ed Arabia Saudita. Un’intesa che, negli Usa, non può che far alzare qualche sopracciglio. Con l’amministrazione Trump impegnata a testa bassa in un’offensiva anti-cinese, il valzer mandarino di un alleato di ferro come Riad appare quanto meno problematico. Lo è a maggior ragione se la Casa Bianca chiude consapevolmente un occhio verso lo shopping militare di Mbs, minando una politica vecchia di trent’anni finalizzata a impedire che il Medio Oriente diventi una polveriera. E lo è ancor di più se tutto ciò coinvolge un Paese che ha chiarito senza ambiguità che potrebbe dotarsi di armi nucleari se l’Iran farà altrettanto.

Davanti a una rivelazione giornalistica che prospetta uno scenario a dir poco spiacevole, l’amministrazione Trump si è affrettata a negare ogni rischio. Pur rifiutandosi di commentare materiali di intelligence, un funzionario del Dipartimento di Stato ha dichiarato alla Cnn che l’Arabia Saudita rimane parte di quel Trattato di Non Proliferazione Nucleare che la obbliga a rinunciare alla bomba. Quanto alla sospettata accondiscendenza di Trump, e alle conseguenze che avrebbe sulle politiche di contrasto della proliferazione, il funzionario rimanda a una recente dichiarazione del Dipartimento in cui si riafferma l’impegno degli Usa per “un Medio Oriente libero da armi di distruzione di massa” e, in particolare, da “sistemi di delivery” (missili).

Il fatto è che l’amministrazione Trump si sarebbe rifiutata di condividere queste informazioni di intelligence con il Congresso, dando adito al più atroce dei sospetti. Citando due alti ex funzionari di intelligence, la CNN fa capire che le informazioni raccolte dalle agenzie su uno sviluppo così preoccupante sono senz’altro finite sul tavolo del presidente. Ma per motivi poco chiari, la Casa Bianca avrebbe condiviso tali informazioni con la sola Commissione Intelligence del Senato, lasciando all’oscuro invece la Commissione Esteri, che per statuto è chiamata a sorvegliare in senso lato sulla politica estera Usa. Ecco così che, quando un membro di quest’ultimo organo è venuto al corrente della situazione in modo fortuito, durante un viaggio in Medio Oriente, è successo il putiferio.

Informato dal collega, il n. 1 dei Democratici in Commissione Esteri, Robert Menendez, ha immediatamente chiesto – e ottenuto – un briefing segreto per i membri della Commissione, come accade solo quando ci sono eventi di rara gravità. Avvenuto il 9 aprile scorso, il briefing avrebbe delineato il più inquietante degli scenari, ossia un Medio Oriente in preda ad una inquietante corsa alle armi.

A giudicare dagli ultimi mesi, dominati dalle schermaglie tra governo e Parlamento sulla linea di sostegno indefesso dell’Arabia Saudita nel confronto con l’Iran perseguita dalla Casa Bianca, c’è da credere che le nuove rivelazioni apriranno un nuovo fronte di scontro. Che si consumerà mentre l’amministrazione sta cercando di piegare la Repubblica Islamica a colpi di sanzioni e mosse militari. E mentre è in pieno corso la campagna elettorale per il 2020 che vedrà Donald Trump affrontare la sfida lanciata da un nutrito campo di avversari democratici. I quali, senz’altro, faranno il miglior uso delle cartucce messe a disposizione dalla Cnn.

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