Skip to content

La Cina ci colonizzerà?

Sun Tzu ha scritto: “Le truppe vittoriose sono quelle che accettano il combattimento solo quando hanno già vinto; le truppe vinte sono quelle che cercano la vittoria solo nel momento del combattimento”. Frase valida anche per le relazioni Cina-Italia? “Ocone's corner”, la rubrica settimanale del filosofo Corrado Ocone

 

Quella che si è conclusa potremmo definirla la “settimana cinese”. La visita di Stato in Italia di Xi Jinping e la firma di impegnativi e sostanziosi accordi commerciali ha generato polemiche più che orgoglio nazionale. In molti si sono infatti chiesti se per caso non stessimo tradendo non solo l’Europa, ma le nostre tradizionali alleanze atlantiche, in favore di una partnership speciale con quella che è ormai, insieme agli Stati Uniti, l’unica vera potenza globale. Sembra infatti che gli accordi e il memorandum di accompagnamento non mettano troppi “paletti” a quello che pure è per noi un importante partenariato. E che, nella loro “ambiguità” e “fumosità” su punti importanti, possano essere passibili di sviluppi non preventivabili e tendenzialmente anche pericolosi per la nostra sovranità e al limite per il nostro sistema culturale e valoriale.

La Cina ci fa quindi ancora paura, nonostante l’attrazione che esercita su di noi e nonostante la sua mitezza fatta di modi sinuosi e passi felpati. Non è un caso: essa, rispetto a noi, ha sempre rappresentato, e rappresenta ancora, il completamente “altro”. Come ci ricorda nei suoi libri il filosofo francese François Jullien, la cultura cinese è l’unica che si sia sviluppata fino a livelli alti del tutto indipendentemente da quella occidentale, e addirittura prima della nostra: lo stesso non può dirsi per la cultura ebraica ma nemmeno per quella islamica.

Il cinese poi appartiene a un ceppo linguistico del tutto diverso da quello indoeuropeo, e come sappiamo è nel linguaggio che si disegnano le strutture mentali con cui leggiamo il mondo.

Quando, all’inizio dell’età moderna, l’Occidente è arrivato in America ha trovato una civiltà primitiva che subito si è adattata alla nostra cultura. I missionari che si sono mossi verso la Cina hanno invece trovato una “civiltà piena”, in alcuni campi addirittura più avanzata della nostra, e comunque del tutto impermeabile ai nostri costumi e alla nostra religione. Quei missionari, per avere accesso nei luoghi del potere, hanno dovuto adattarsi loro a certi modi di essere dei cinesi.

La tesi di Jullien è che la Cina abbia sofferto molto negli ultimi secoli, anche psicologicamente, l’aggressività con cui l’Occidente ha conquistato il mondo e l’ha distanziata. Ciò è avvenuto grazie allo straordinario processo di razionalizzazione che ci ha portato, attraverso la scienza-tecnica, alla trasformazione del mondo. Si è trattato di una radicalizzazione di quella logica razionalistica, basata sulla efficacia mezzi-fini, che era già presente nel pensiero greco.

In sostanza, l’uomo occidentale, costruito un modello ideale (eidos), cerca sempre, attraverso un piano, e nonostante gli attriti che trova sul suo cammino, di “applicarlo” alla realtà. Alla “teoria” segue per lui sempre la “pratica”: capire e poi agire, conoscere per deliberare.

La logica cinese, invece, agisce secondo un diverso dispositivo mentale: parte dalla realtà e individua il possibile e positivo “potenziale della situazione” in essa presente. Quindi, lavora su di esso e facilita certe inclinazioni senza intervenire direttamente o in modo aggressivo.

Quando poi la situazione è evoluta nel senso voluto e sperato, non resta che trarne le conseguenze: l’altro, senza accorgersene, è stato sconfitto, non ha più spazi per cambiare il nuovo ordine delle cose.

Sun Tzu, il generale e filosofo cinese vissuto fra il VI e il V secolo avanti Cristo, ha scritto queste significative parole: “Le truppe vittoriose sono quelle che accettano il combattimento solo quando hanno già vinto; le truppe vinte sono quelle che cercano la vittoria solo nel momento del combattimento”.

Che dire? Se quest’ordine di ragionamento fosse applicabile anche nella nostra situazione, non ci sarebbe da temere per una “colonizzazione” cinese per mezzo della Belt and Road Initiative. I cinesi, infatti, non potranno combattere con noi e vincerci, ma semplicemente perché in realtà hanno già vinto.

Torna su