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Iran

Non solo Iran, ecco chi coccola Hamas

C’è un lungo elenco di Paesi che trasferiscono denaro nelle casse di Hamas: Qatar, Egitto, Algeria e Tunisia. In primis, ovviamente, c'è l'Iran. Conversazione con Andrea Molle, professore associato di Scienze politiche e Relazioni internazionali presso la Chapman University di Orange

Una finestra di tempo di almeno un anno e mezzo è stata necessaria all’Iran per addestrare, attraverso i propri Guardiani della Rivoluzione ed i fedeli Hezbollah, Hamas alle tattiche militari impiegate il 7 ottobre per sferrare il micidiale colpo a Israele e uccidere 1.400 persone. Se non bastassero i missili fabbricati a Gaza con know-how iraniano, è questa la più vistosa firma degli ayatollah individuata da Andrea Molle, professore associato di Scienze politiche e Relazioni internazionali presso la Chapman University di Orange, California, che in questa intervista a Start Magazine offre un’anatomia di Hamas che passa anche attraverso l’analisi di chi e come lo finanzia e arma.

Che cos’è Hamas?

La definizione che ne fornisce la comunità internazionale è quella di una organizzazione politica fondamentalista sunnita, paramilitare e di stampo terroristico che ha come proprio obiettivo dichiarato quello di arrivare alla soluzione della cosiddetta questione palestinese tramite l’annientamento dello Stato di Israele e l’espulsione degli ebrei dalla terra che rivendica come terra esclusivamente palestinese. Il movimento ha uno slogan fondamentale che abbiamo purtroppo sentito risuonare nelle manifestazioni tenutesi in questi giorni in Occidente ed è “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”.

Praticamente stiamo leggendo lo statuto di Hamas.

Esattamente. Se andiamo a vedere quel documento, carta canta, come si suol dire. Questo è Hamas, che non è sicuramente una organizzazione umanitaria o un movimento politico con il quale si può raggiungere qualche compromesso, come invece è stato possibile con la fazione di Arafat e oggi di Abu Mazen, Fatah.

Hamas si può definire anche un’organizzazione jihadista, che inneggia cioè alla guerra santa?

Hamas fa diretto riferimento al jihad. Le sue radici rimandano in particolare alla tradizione radicale della Fratellanza musulmana, il movimento fondato nel 1928 dall’egiziano Hassan al-Banna. C’è da dire che all’interno di Hamas convivono anime più o meno estreme, anche se l’organizzazione che abbiamo visto in azione il 7 ottobre, con il suo volto ferocissimo, è figlia di un’evoluzione che sembra aver cancellato quelle differenze.

Di quanti combattenti dispone Hamas?

Se parliamo delle Brigate Qassam, ossia dell’ala militare di Hamas, vi sono stime che le assegnano una forza compresa fra 30 e 40mila uomini. Ovviamente l’organizzazione nel suo complesso è molto più ampia.

Qual è il budget di Hamas?

Sebbene sia sempre difficile fare un calcolo preciso, il Dipartimento di Stato Usa nel 2020 aveva stimato che il budget di Hamas fosse nell’ordine di parecchie centinaia di milioni di dollari. Questi soldi però solo in parte vanno a finanziare operazioni militari. Ricordo infatti che Hamas fin dal 2006 amministra la striscia di Gaza e dunque eroga tutta una serie di servizi alla popolazione di quel territorio: denaro che va naturalmente al welfare, e serve anche a pagare le pensioni alle famiglie dei martiri. Uno studio non recentissimo ma certo attuale sull’economia di Hamas mise in luce come l’organizzazione fosse estremamente abile a barattare servizi in cambio di lealtà.

Chi è che sostiene finanziariamente Hamas?

C’è un lungo elenco di capitali che trasferiscono denaro nelle casse di Hamas: dai Paesi del Golfo Persico come il Qatar ad alcuni Stati del Nord Africa come l’Egitto, l’Algeria e la Tunisia. Questi sono gli attori che finanziano direttamente Hamas anche ma non sempre alla luce del sole. Esistono poi altri rivoli di finanziamento che Hamas cattura, fondi che non sono direttamente indirizzati ad Hamas ma che entrano nelle sue casse con un gioco molto sofisticato. È il caso degli interventi umanitari che vengono poi dirottati nei forzieri del gruppo.

Anche i soldi dell’Ue vengono dirottati?

Non solo i soldi, anche i materiali che l‘Ue gli fornisce. Molti dei finanziamenti per progetti destinati ad alleviare la sofferenza del popolo palestinese vengono dirottati nelle casse di Hamas. Succede così che chi si illude di finanziare azioni umanitarie vede i suoi soldi passare ad altre entità e da queste ad Hamas in un gioco perverso di scatole cinesi. Vi fu il caso clamoroso di un acquedotto la cui costruzione fu finanziata dall’Ue: sbucarono poi dei filmati in cui uomini di Hamas si vantato di aver trasformato quei tubi in missili. Per paradosso, anche i soldi degli israeliani finiscono in questo meccanismo.

Chi invece arma Hamas?

L’Iran. Sappiamo che quel Paese, negli anni, ha effettuato massicci trasferimenti non solo di denaro ma anche di tecnologia indirizzata in particolare alla costruzione di un vasto arsenale di razzi molto avanzati. Questo l’Iran non solo non lo nasconde ma se ne vanta apertamente. E così fa Hamas: ricordo che l’anno scorso uno dei suoi leader si vantò di aver ricevuto circa 70 milioni di dollari in assistenza militare dall’Iran. Giusto per capirci, gli oltre 4mila razzi che sono piovuti su Israele il 7 ottobre sono stati fabbricati a Gaza ma con progetti che possono essere fatti risalire all’Iran. Ma l’impronta dell’Iran nell’attacco a Israele si può vedere da altri fattori, ad esempio dall’addestramento che i combattenti di Hamas hanno necessariamente ricevuto per preparare questo blitz, oppure dall’uso dei gliders e da altre tattiche adottate nella fase cinetica dell’attacco.

Quindi anche l’addestramento era iraniano?

Non è stato un addestramento diretto: l’Iran, con l’aiuto di Hezbollah, ha organizzato nei campi libanesi gestiti da consulenti tecnici del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione (Irgc) dei seminari tattici di addestramento per ufficiali delle brigate Qassam di Hamas che poi sono tornati a Gaza e lì hanno a loro volta addestrato gli operatori. Il tutto nel corso di una finestra di tempo di almeno un anno e mezzo per preparare il piano d’attacco.

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