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Israele

Hamas: gli obiettivi e gli alleati nella guerra anche psicologica all’Occidente

Oltre al noto e dichiarato sostegno dell’Iran e di Hezbollah, nella preparazione ed attuazione dell’attacco di Hamas contro Israele sono stati coinvolti anche combattenti talebani. L’approfondimento di Francesco D'Arrigo, direttore dell'Istituto Italiano di Studi Strategici "Niccolò Machiavelli".

A seguito dell’invasione russa dell’Ucraina – preventivamente concordata da Vladimir Putin con Xi Jinping nel corso delle olimpiadi di inizio febbraio 2022, l’alleanza Mosca – Pechino ha disvelato il progetto di voler realizzare un nuovo ordine mondiale, stravolgendo l’attuale su cui si è basato lo sviluppo delle società dopo la seconda guerra mondiale, e di cui la Cina ne è stata il maggiore beneficiario.

Pertanto, la tempistica dell’attacco di Hamas ad Israele, sicuramente connessa a diversi fattori ed obiettivi tattici e strategici regionali, è da ricollegare anche a questo disegno, che ha già ottenuto diversi risultati, in primis il sabotaggio degli Accordi di Abramo e del processo di normalizzazione e sviluppo delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele.

La prevedibile reazione di Israele al massacro di migliaia di civili, ed al rapimento di centinaia di israeliani, americani e cittadini di altre nazionalità, tra i quali centinaia di bambini, è stata la dichiarazione dello “stato di guerra”, che rappresenta un altro risultato a beneficio dell’asse Russia – Cina, perché obbliga gli Usa e l’Occidente a sostenere la difesa dello Stato di Israele e quindi a concentrare forze militari su più fronti di crisi e stanziare ingenti risorse economiche che si aggiungono a quelle necessarie per continuare a contrastare l’aggressione russa all’Ucraina. Sforzi che incideranno ulteriormente sulle opinioni pubbliche occidentali, già duramente provate dalle ripercussioni socioeconomiche di questi ultimi anni di crisi, pandemie e guerra in Ucraina. Opinione pubblica occidentale che diventa spesso un inconsapevole alleato delle autocrazie, perché disorientata da una pericolosa strategia di disinformazione e guerra cognitiva che punta a stravolgere la realtà utilizzando media e piattaforme social, che colpevolizzano Israele e l’Occidente.

Così come per l’invasione russa dell’Ucraina, anche dopo l’attacco terroristico di Hamas stiamo osservando una efficientissima campagna di disinformazione e propaganda attraverso la rete di canali e piattaforme di comunicazione ufficiali e non ufficiali che il network jihadista globale utilizza per creare e amplificare la propria narrazione, che giustifica il vero e proprio genocidio portato avanti da Hamas come una reazione alle politiche del governo di Israele ed assimila i terroristi di Hamas e le loro azioni alla difesa della causa palestinese. Nulla di più falso!

Sono proprio i palestinesi, e soprattutto quelli residenti a Gaza, le vittime dell’organizzazione jihadista che controlla la striscia, che li utilizza come scudi umani per proteggere le loro attività terroriste ed i loro traffici dalle reazioni dell’Idf.

Hamas non rappresenta i palestinesi e li usa come veri e propri ostaggi alla stregua degli occidentali rapiti durante l’attacco del 7 ottobre, che Israele e Usa stanno tentando di individuare e liberare, prima di sferrare l’attacco di terra.

La strategia dei regimi totalitari per stravolgere l’ordine globale

Dopo la guerra in Ucraina, scatenata dalla Russia, l’asse Pechino – Mosca ha rivelato il progetto di voler realizzare un nuovo ordine mondiale. La crisi Ucraina ha drammaticamente rinvigorito il disegno della Russia di contrastare con ogni mezzo l’allargamento della NATO ai paesi un tempo alleati o satelliti dell’URSS, che la Cina ora condivide con l’obiettivo di contrastare gli Stati Uniti come unica superpotenza, che contrasta le politiche espansive del partito comunista cinese e soprattutto difende strenuamente l’autonomia e la liberta di Taiwan. Pertanto, anche la guerra contro Israele, sostenuta dall’Iran, è funzionale a tale progetto volto a stravolgere l’assetto geopolitico globale, in quanto impegna gli Usa e le democrazie occidentali a difendere lo Stato di Israele, aprendo un nuovo fronte di crisi da presidiare, creando paure e tensioni ed imponendo un ulteriore sforzo economico e militare. Fattori che peseranno negativamente sulle nostre economie ed opinioni pubbliche che nei prossimi mesi andranno a votare.

Come viene influenzata l’opinione pubblica occidentale dai jihadisti?

Hamas ed il potentissimo network jihadista di cui fa parte utilizzano i video delle atrocità che compiono per condizionare le decisioni di Israele, terrorizzare la popolazione occidentale, per richiamare tutte le organizzazioni alleate e l’intero mondo musulmano “alla guerra santa” per distruggere e cancellare Israele dalle mappe geografiche.

Si tratta di una vera e propria guerra psicologica, che è una forma di conflitto che mira a influenzare le percezioni, le emozioni, le attitudini e i comportamenti delle persone al fine di raggiungere obiettivi politici, militari e sociali. La guerra psicologica del sistema di comunicazione globale jihadista viene condotta attraverso tutti i mezzi disponibili, tra cui la propaganda, la disinformazione, la manipolazione dell’opinione pubblica, il condizionamento mentale e la paura attraverso la diffusione dei video dei loro massacri e messaggi di testo per alimentare il proselitismo.

L’obiettivo principale è influenzare le percezioni e le decisioni delle persone, come sta avvenendo in diverse città ed atenei occidentali, cercando di ottenere un vantaggio strategico. La propaganda è uno strumento chiave nella guerra psicologica dei terroristi. Attraverso l’utilizzo dei media, delle reti sociali e di altre piattaforme di comunicazione, vengono diffuse informazioni e messaggi che cercano di manipolare l’opinione pubblica, creando la narrativa di un Israele che compie crimini contro i palestinesi. La disinformazione è un’altra tattica utilizzata dalle organizzazioni jihadiste, attraverso la diffusione di informazioni false o fuorvianti per confondere l’avversario o creare divisioni all’interno della società. La guerra psicologica viene utilizzata in modo massiccio dai movimenti jihadisti e coinvolge i mezzi di comunicazione tradizionali come la stampa, la televisione e la radio, ma soprattutto le nuove tecnologie come Internet ed i social media, con l’obiettivo primario di influenzare le percezioni e le emozioni delle giovani generazioni.

In questi giorni stiamo tutti constatando come i filmati delle barbare esecuzioni nei kibbuz, le stragi di bambini decapitati e di ragazzi bruciati vivi vengono diffusi da Hamas, insieme ai video dei bambini rapiti, per utilizzarli come strumento della loro strategia del terrore.

L’Occidente cade in questo tranello?

Assolutamente sì! I mass media, per motivi di audience, molti sostenitori della causa palestinese, soprattutto opinion maker ed intellettuali come i docenti e gli studenti di oltre 300 università statunitensi che hanno aderito alla Students for Justice in Palestine (SJP), che evidentemente non hanno compreso il salto di qualità effettuato da Hamas, abboccano alla loro strategia ingannevole.

Abbiamo visto manifestazioni come quelle degli studenti di Harvard, dove una coalizione di oltre 30 gruppi pro-palestinesi dell’università, ha diffuso una dichiarazione in cui incolpa Israele di “tutte le violenze in corso”, condividendo la narrazione di Hamas, secondo cui la carneficina del 7 ottobre scorso sarebbe una reazione difensiva palestinese, colpevolizzando Israele per le condizioni degli abitanti di Gaza, in realtà ostaggio perpetuo dell’organizzazione terroristica che comanda nella striscia.

Hamas non ha basi militari, utilizza come tali le scuole, gli ospedali, le abitazioni ed i sotterranei scavati nei quartieri più popolati. Pertanto, per combatterla bisogna obbligatoriamente attaccare tali infrastrutture, che quando colpite vengono mostrate nei Tg, creando disagio nelle opinioni pubbliche, in quanto abitazioni civili, ottenendo il massimo vantaggio dalla disinformazione. Israele, avvisando preventivamente che attaccherà tali basi, dove i terroristi di Hamas si mimetizzano con la popolazione, dove vengono stivati migliaia di missili ed armi di ogni genere, non sta attaccando i civili palestinesi, ma tenta di limitare al massimo le vittime ed i danni collaterali che la guerra ai jihadisti che vi si occultano inevitabilmente provoca.

Negando ai palestinesi l’evacuazione in vista dell’intervento militare oramai inevitabile dell’Idf, oltre ad utilizzarli come scudi umani, Hamas non si fa alcuno scrupolo nel provocare un bagno di sangue, per poter accusare Israele di crimini di guerra, alimentando la propria narrazione e l’antisemitismo.

Israele è stato colto di sorpresa per un fallimento dell’Intelligence?

No, purtroppo siamo di fronte ad un fallimento dell’intero sistema politico, strategico e di difesa di Israele che ha shockato in primis i cittadini israeliani. Le Agenzie di intelligence israeliane: il Mossad (responsabile della gestione della raccolta di intelligence nelle operazioni all’estero), lo Shin Bet, (che si occupa della sicurezza interna), e l’Aman (l’intelligence militare delle forze di difesa), sono tra le migliori al mondo, e sono in grado di conoscere esattamente cosa fanno i palestinesi, nei dettagli, grazie ai loro sofisticati sistemi tecnologici di spionaggio. Ma anche la tecnologia più innovativa e dirompente può essere inefficace se le interazioni tra l’uomo e tali sistemi non sono coadiuvate da un adeguato processo di analisi e se il decisore politico non è all’altezza del compito. L’intelligence non è mai il fattore decisivo. Le responsabilità sono della leadership politica, che porta con sé: il suo senso strategico, le lezioni che ha tratto dalla Storia o dalle esperienze precedenti, gli imperativi della politica interna, le proprie emozioni e soprattutto i propri obiettivi politici. In ambito strategico militare il processo decisionale è completamente demandato alla leadership politica, alle sue capacita di analisi ed alla dottrina militare, e non può essere demandato soltanto alle capacità dell’intelligence, sebbene dotata dei più avanzati sistemi tecnologici.

Su questo aspetto, cosa ci insegna l’attacco di Hamas ad Israele?

L’attacco terroristico ha rivelato l’enorme salto di qualità e capacità militari di Hamas, che ha attuato una strategia di inganno (deception) assolutamente magistrale, che non avrebbe potuto compiere autonomamente, ed è tale da dimostrare la regia di attori statali che hanno contribuito a pianificare, sostenere dal punto di vista economico, logistico e militare un siffatto piano di invasione dello Stato di Israele. Oltre al noto e dichiarato sostegno dell’Iran che continua a minacciare Israele, ed alle azioni di disturbo di Hezbollah, le modalità e l’efferatezza dei disumani massacri di civili, a mio avviso veri e propri atti di genocidio, rivelano la partecipazione nelle fasi di preparazione ed attuazione dell’attacco il coinvolgimento di foreign fighters Afghani-Talebani.

Secondo informazioni di intelligence, dopo numerose telefonate tra Kandahar-Afghanistan e Mashhad-Iran, la guida suprema iraniana Ayatollah Ali Khamenei avrebbe esortato il leader supremo dei Talebani Sheikh Haibatullah Akhundzadah a rilanciare il reclutamento di nuovi combattenti e le manifestazioni di protesta per la causa di Hamas. Così, su ordine del leader dei Talebani, Sheikh Haibatullah, durante la preghiera del venerdì in tutte le province dell’Afghanistan, gli imam mullah hanno annunciato il loro sostegno ad Hamas contro Israele già prima del sermone del venerdì.

Anche la Cina, di solito osservatrice silente, in queste ore ha fatto sentire il suo peso con il diplomatico di Pechino, Wang Yi, che nel corso di una telefonata avuta con l’omologo iraniano Hossein Amir -Abdollahian, ha rilasciato una dichiarazione che non lascia dubbi sul ruolo del partito comunista cinese che: “sostiene i Paesi islamici nel rafforzare l’unità e il coordinamento sulla questione palestinese” al fine di parlare “con una sola voce”.  “La comunità internazionale dovrebbe agire per opporsi alle azioni di qualsiasi parte che danneggiano i civili”, ha aggiunto Wang, nel resoconto dei media statali cinesi. In sintesi: Israele non deve attaccare Gaza.

Nulla da dire però sugli uiguri, la minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona, che risiede principalmente nella vasta regione dello Xinjiang, nel nord ovest del Paese e sul perché vengono perseguitati e repressi. Le violazioni nei loro confronti si sono intensificate a partire dal 2001 e vengono giustificate come una campagna di lotta al terrorismo.

Ambiguità cinese che oltre a difendere i propri interessi economici (Via della Seta, petrolio, terre rare, ecc.), si inquadra nella strategia del Pechino di accrescere la propria influenza in Medio Oriente. La Cina punta a diventare potenza di riferimento nella regione, a discapito degli Usa,  e questa sua reattività rappresenta un ulteriore elemento a sostegno della tesi di un piano coordinato di attacco contro l’Occidente, portato avanti da State actors che hanno prescelto come obiettivo perfetto Israele, l’unico vero nemico capace di mobilitare milioni di musulmani in tutto il mondo, alimentando antisemitismo, violenza, tensioni, crisi e minacce multidimensionali. In poche parole, un grande risiko intorno a Gaza che mira ad alimentare il caos in Europa, infiammando la già esplosiva situazione nel Mediterraneo ed in Africa.

Un’ultima domanda: è chiaro cui prodest?

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