skip to Main Content

India Droni

L’India silura la Cina sui droni e si affida agli Stati Uniti

L'India ha vietato ai produttori di droni militari di utilizzare componenti cinesi. Il paese vuole potenziare le proprie capacità di difesa, ma gli mancano le capacità: e allora fa spesa dagli Usa. Tutti i dettagli.

Negli ultimi mesi, stando alle informazioni ottenute da Reuters, l’India ha vietato alle aziende domestiche che realizzano droni militari di utilizzare componenti prodotti in Cina. La decisione è stata presa per ridurre i rischi alla sicurezza nazionale, visti i contrasti territoriali e politici con Pechino e visto anche il maggiore utilizzo di velivoli a pilotaggio remoto previsto dal piano di modernizzazione militare.

I TIMORI DELL’INDIA SUI DRONI CINESI

Le autorità indiane temono che la componentistica cinese presente nelle videocamere dei droni, nei software, nelle trasmissioni radio e in generale nelle funzioni di comunicazione possa compromettere la raccolta di intelligence o consentire a Pechino di ottenere informazioni sensibili sulle attività delle forze armate indiane.

L’India ha iniziato nel 2020 a introdurre delle graduali restrizioni alle importazioni di droni per la sorveglianza. Alle gare d’appalto organizzate dalle forze armate non sono oggi ammessi – “per ragioni di sicurezza” – aeromobili contenenti componentistica proveniente da “paesi che condividono confini terrestri con l’India”. Nuova Delhi non è in buoni rapporti nemmeno con il Pakistan, ma la denominazione si riferisce alla Cina, dalla quale l’industria indiana è ancora sostanzialmente dipendente nonostante alcuni episodi di attacchi informatici (Pechino nega ogni coinvolgimento).

L’India, comunque, non è l’unica nazione ad aver vietato l’acquisto di droni militari cinesi o l’utilizzo di componenti di fabbricazione cinese: gli Stati Uniti lo hanno già fatto nel 2019.

COSTI PIÙ ALTI E MANCANZA DI KNOW-HOW

L’India ha stanziato 19,7 miliardi di dollari dal 2023 al 2024 per la modernizzazione delle proprie capacità militari. Il 75 per cento della somma è riservata alle aziende domestiche, ma la messa al bando della componentistica cinese ha avuto l’effetto di alzare i costi della manifattura di droni e complicare gli approvvigionamenti.

NewSpace Research and Technologies, un’azienda indiana che fornisce piccoli droni all’esercito, ha detto a Reuters che il 70 per cento dei prodotti nella supply chain provengono dalla Cina. Anche se un componente viene acquistato, poniamo, dalla Polonia, è possibile che contenga al suo interno delle parti cinesi.

Un importante funzionario della difesa ha detto a Reuters che l’India dovrà accettare i costi più elevati, se vorrà potenziare le proprie capacità manifatturiere.

Al di là dei costi, l’India non possiede ancora le competenze tecniche per realizzare alcune tipologie di droni e dunque dipende dai produttori esteri non solo per le singole parti, ma anche per interi sistemi.

Per provare a colmare questo gap tecnologico, lo scorso giugno il paese ha deciso di acquistare trentuno droni MQ-9 di General Atomics, un’importante società appaltatrice della difesa americana, per un valore di oltre 3 miliardi di dollari: gli aeromobili in questione verranno realizzati in India, dove General Atomics aprirà un nuovo stabilimento.

– Leggi anche: Non solo General Electric, tutti gli affari tra Usa e India anti Cina

Inoltre, la ministra delle Finanze Nirmala Sitharaman ha dichiarato che un quarto del bilancio per la ricerca e lo sviluppo nella difesa (2,8 miliardi di dollari in tutto) verrà destinato al settore privato. Ad oggi, le grandi aziende indiane del comparto non hanno investito granché sull’innovazione.

Back To Top