Il boom dell’economia indiana è fondato su una serie di elementi strutturali favorevoli che renderanno Dehli una protagonista indiscussa degli scenari economici futuri. Questi fattori sono stati recentemente riepilogati dall’Economist in un articolo che spiega efficacemente i segreti di un successo che nel lungo termine incoronerà l’India come la regina economica del pianeta.
India: le ragioni di un boom
Il boom economico dell’India è sotto gli occhi di tutti. Esso sorprende se solo si pensa alle condizioni di partenza. Nel 1993, evidenzia l’Economist, il Pil indiano rappresentava solo l’1% di quello globale, ma da allora si è innescato un trend di crescita che ha conosciuto nuovi picchi dopo la prima elezione di Narendra Modi nel 2014. Oggi l’economia indiana rappresenta il 3,6% del Pil globale, lo stesso livello raggiunto dalla Cina nel 2000, ma secondo il Fmi nel 2028 raggiungerà il 4,2% superando sia il Giappone che la Germania.
Le previsioni per il futuro remoto sono ancora più rosee: secondo Goldman Sachs il Pil dell’India supererà quello della zona euro nel 2051 e quello americano nel 2075; tutto ciò sulla base di un tasso di crescita stimato al 5,8% nei prossimi cinque anni, al 4,6% negli anni Trenta e a un livello più basso nei decenni successivi.
Gli occhi del mondo puntati su Dehli
Con questi numeri risulta comprensibile la fibrillazione del business globale, attratto dalle molteplici opportunità offerte dal Paese.
Dopo aver aperto il primo store in India, il Ceo di Apple, Tim Cook, ha dichiarato agli investitori il mese scorso che “il dinamismo di quel mercato, così vibrante, è incredibile. L’India è a un punto di svolta”.
Pochi giorni dopo il colosso dell’elettronica taiwanese Foxconn ha stretto un accordo per costruire uno stabilimento in India con un investimento di 500 milioni di dollari.
Punto di forza la manodopera
Le generose proiezioni economiche di banche come Goldman Sachs si fondano in parte sulle stime relative alla crescita della popolazione indiana.
L’Ocse ad esempio, ricorda l’Economist, prevede che, mentre la forza lavoro dell’Ue e della Cina si contrarrà drasticamente, quella dell’India continuerà a crescere almeno fino alla fine degli anni Quaranta.
Questo trend vale un intero punto percentuale delle previsioni pluriennali di crescita dell’economia indiana effettuate da Goldman Sachs.
Infrastrutture affidabili
Se gli occhi degli investitori globali sono puntati sull’India lo si deve anche al miglioramento delle sue reti infrastrutturali, che hanno beneficiato di un ritmo di investimenti più che triplicato, in rapporto al Pil, rispetto a dieci anni fa.
Negli ultimi dieci anni la lunghezza della rete stradale è aumentata del 25% raggiungendo i sei milioni di chilometri; il numero di aeroporti è raddoppiato e molti di quelli nuovi sono dei veri e propri gioiellini che fanno impallidire quelli dei Paesi ricchi.
Anche l’infrastruttura digitale ha conosciuto una autentica fioritura: oggi le connessioni a banda larga sono ben 832 milioni. L’industria dei servizi digitali ha conosciuto frattanto un poderoso balzo in avanti, con centinaia di milioni di utenti dell’e-banking o dei sistemi di pagamento telematici.
Anche in termini di infrastruttura energetica l’India sa farsi invidiare. L’Economist a tal proposito cita i dati di Bloomberg New Energy Finance secondo cui quest’anno il Paese genererà il terzo più alto quantitativo di energia solare dopo America e Cina-
Make in India
È in questo contesto favorevole che si inseriscono gli ambiziosi piani infrastrutturali del premier Modi lanciati sotto lo slogan “Make in India”.
L’obiettivo è quello di trasformare l’India in un hub produttivo capace di attrarre quelle compagnie occidentali desiderose di diversificare le proprie catene produttive alla luce del rischio cinese.
Qui l’Economist riporta le conclusioni di un recente studio del Fmi secondo cui l’India sarebbe uno dei principali beneficiari della divisione del mondo in due blocchi geopolitici contrapposti guidati uno dall’America e l’altro dalla Cina. E proprio per accaparrarsi parte di questa torta che il governo Modi ha lanciato nel 2020 uno schema di sussidi alle industrie che incentiva la produzione in 14 settori industriali sulla base di un meccanismo premiale.
I piani di Dehli stanno già sortendo i loro effetti: l’export di macchinari, elettronica e auto o loro parti è cresciuto negli ultimi cinque anni del 63%, e questa voce rappresenta oggi un quinto di tutti i beni esportati dall’India. Apple è sbarcata da poco nel Paese, dove oggi assembla il 7% dei suoi dispositivi. Anche gli attori locali si stanno muovendo a gran velocità: il più ricco e famoso gruppo indiano, Tata, sta realizzando investimenti nell’elettronica a livelli record.
Prossimo passo l’abbraccio con l’America
Ma questi ritmi di crescita, si chiede infine l’Economist, sono davvero sostenibili? La risposta è che una parte dei fattori alla base del boom indiano sembrano destinati a durare nel tempo, con particolare riferimento ai trend demografici, all’ottimo livello culturale e formativo della popolazione e alla cultura imprenditoriale.
Alle elezioni del prossimo anno, poi, tutti danno per scontata la riconferma di Modi, che garantirà un prezioso elemento di continuità nella formulazione delle politiche economiche e soprattutto negli investimenti e nelle infrastrutture.
Ma a scuotere dalle fondamenta l’economia indiana potrebbe essere una variabile tutta politica, ossia la scelta di integrarsi pienamente nel sistema economico e finanziario occidentale. Un simile passo richiede però un deciso avvicinamento agli Usa e l’India da tempo sta andando in quella direzione anche in nome della comune avversione alla Cina.
Tra pochi giorni, guarda caso, Modi sarà ricevuto con tutti gli onori a Washington, dove per la seconda volta, con un privilegio riservato in passato solo a leader come Churchill, formulerà un discorso a Camere riunite sotto le colonne del Campidoglio. E chissà se, nell’intimità dello studio ovale, lui e Biden avranno modo di discutere di quella proiezione di Goldman Sachs che fissa tra cinquant’anni il sorpasso dell’economia indiana su quella Usa.