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Il rapporto fra Scienza e Potere visto da Ocone

"Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista

Diciamo la verità: siamo un paese che ama la retorica, cioè piuttosto che guardare in faccia la realtà preferiamo esaltarne alcuni aspetti in modo da trarne una morale edificante e consolatoria. Che poi quasi sempre coincide con quella buonista e progressista che ha dato il tono agli ultimi decenni, almeno nei gangli vitali della politica in lato senso culturale del Paese.

Uno dei refrain più in voga in questi tragici giorni di paura e forzato isolamento è quello che riprende una vecchia fisima della cultura mainstream: la “competenza”. “Dove sono finiti i no-vax?”, si chiedeva qualche giorno fa un quotidiano che ha abbracciato da qualche tempo l’ideologia dominante con l’estremismo che è sempre proprio dei neofiti.

Chi ha il coraggio di affidarsi agli stregoni piuttosto che ai medici, ai ciarlatani piuttosto che agli scienziati, per fronteggiare il virus? Certo, messa così la questione, la risposta, almeno fra le persone che ancora hanno la testa sulle spalle, non può che essere una sola, scontata, persino banale. E anzi, diciamolo pure, non poteva che essere la stessa anche quando imperversavano, sui social e ahimé anche in politica, i complottisti della vaccinofobia o quelli delle “scie chimiche”.

Eppure, né allora né oggi, io mi sento di schierarmi con i retori e sofisti della competenza. Per tre motivi, principalmente.

Prima di tutto, perché la cultura che costoro hanno in mente non è la grande cultura classica occidentale ma quella che è emersa negli ultimi decenni con il trionfo delle scienze sociali, la presunta “integrazione” delle “culture altre”, con la standardizzazione delle coscienze attraverso il politically correct, con la lotta al principio di autorità (e autorevolezza) che in ambito culturale è l’unico che può valere, con l’idea che non esista una “cultura alta” e che tutto lo sia, con l’idea che bisogna riscrivere la storia guardandola con gli occhi delle “minoranze” e degli “esclusi” o “vinti”. Un modo di pensare che ha conquistato i templi del sapere occidentali, a cominciare dalle università, segnando in sostanza la decadenza della nostra civiltà.

Sinceramente, alla retorica dei “competenti” che vanno per la maggiore, nonché allo loro postura e al loro compiacimento narcistico, preferisco la semplicità e il buon senso dell’uomo della strada, che per connaturata forma mentis ed esperienza arriva subito al nucleo essenziale delle cose.

Il secondo motivo che mi fa diffidare della retorica della competenza è il sottinteso della richiesta che spesso si fa dei “competenti” in politica. Non perché la politica debba essere improvvisata e fatta da chiunque, anche dalla “casalinga di Voghera” (i miei rispetti!) di arbasiniana memoria. Ma la competenza non significa, come pare più o meno implicito, che al Ministero della Salute ci vuole un medico, a quello dell’Università un Rettore, alla Difesa un Generale. No, quel che ci vuole ovunque è un politico non improvvisato, un competente in politica se preferite. Solo costui ha infatti, oltre al necessario senso pratico, quella visione d’insieme e non corporativa che di solito i “tecnici” dei singoli settori non hanno.

C’è un poi un terzo e ultimo distinguo da fare, che dovrebbe essere chiaro ma che non sempre lo è. Gli scienziati possono essere criticati, come chiunque, ed è giusto non affidarsi ciecamente a loro. È assurdo già solo pensare il contrario, deducendone, con faciloneria, che, chi così fa, è nemico della scienza, ovvero ha una mentalità antiscientifica. Certo, la scienza è infallibile (non me ne abbia il buon Popper!), se non altro perché i risultati a cui giunge sono, come Kant ci ha insegnato, già tutti nei suoi presupposti.

Ma una cosa è la scienza, un’altra cosa gli scienziati. I quali come tutti gli uomini soggiacciono alle lusinghe della vanità (come abbiamo visto questi giorni con i virologi in tv), dell’interesse personale, del potere, nei casi più deplorevoli dei soldi. A volte anche a fin di bene. E faccio un esempio: se lo Stato o le istituzioni europee o le organizzazioni sovranazionali finanziano lautamente una ricerca sul “cambiamento climatico”, è plausibile che alcuni scienziati non irreprensibili “pettinino” le loro ricerche per paura di perdere i soldi destinati ai loro laboratori, utili e fondamentali anche per altre ricerche.

Il rapporto fra Scienza e Potere non è un tema da porre in modo banale, ma nemmeno da sottovalutare.

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