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Pace

Il pacifismo etico e il tornaconto elettorale

Il Bloc Notes di Michele Magno

Si chiamerà “Pace, terra, dignità” la lista di Michele Santoro per le elezioni europee. Più che il nome di un movimento, sembra il titolo di un’enciclica. Non per caso, forse. Infatti, sono tre parole al centro anche della lettera apostolica di Papa Francesco “Fratelli tutti” (ottobre 2020). Una lettera in cui il pontefice condanna senza appello il principio “Vim vi repellere licet” (è lecito respingere la violenza con la violenza), presente già nel Digesto di Giustiniano (533). È accettato da ogni ordinamento giuridico e da ogni dottrina morale, tranne dalle dottrine della nonviolenza. Con una sua interpretazione perfino estensiva, è stato accolto anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, voluto nel 1992 da Giovanni Paolo II come espressione del magistero conciliare: “La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere” (n.2265). “Opus iustitiae, pax” (Isaia 32,17) era il motto episcopale di papa Wojtila. E, poiché la pace può nascere solo dalla giustizia, egli arriverà a dire che “ci sono casi in cui la lotta armata è un male inevitabile a cui, in circostanze tragiche, non possono sottrarsi neanche i cristiani (Omelia sulla Heldenplatz di Vienna, 10 settembre 1983).

Per il pacifismo radicale di Jorge Bergoglio (e di Santoro), invece, il ricorso alle armi è sempre un crimine e non esistono guerre giuste. Beninteso, la maledizione della guerra e dei suoi orrori risale al paleolitico superiore. Viene spesso cavalcata da taluni leader politici, in primis da Giuseppe Conte, per il consenso che riscuote tra gli elettori, poiché accantona il dilemma “burro o cannoni” ignorando il problema della sicurezza. Ha scritto Norberto Bobbio: “Pacifismo non è soltanto invocare la pace, pregare per la pace, dare testimonianza  di volere la pace […]. Opporre la nonviolenza assoluta in ogni forma, anche la più piccola, di violenza. Offrire l’altra guancia. Meglio morire come Abele che vivere come Caino. [Ma] non è forse vero che l’impotenza dell’uomo mite finisce per favorire il prepotente? In una situazione in cui, per osservare il principio della nonviolenza tutti gli stati fossero disposti a gettare le armi, l’unico che si rifiutasse di farlo diventerebbe il padrone del mondo” (“Il problema della guerra e le vie della pace”, il Mulino, 1997). Sia chiaro, il Papa non è tenuto a seguire la weberiana etica della responsabilità. Non è però commendevole che altri vi rinuncino per rosicchiare qualche voto in più. A ciascuno il suo mestiere.

C’è un lontano episodio che racconta molto dell’odierno pacifismo che spesso piega l’etica a un miserabile tornaconto elettorale. Vietnam, villaggio di My Lai, 16 marzo 1968: una compagnia di fucilieri americani stermina alcune centinaia di civili inermi, soprattutto anziani, donne e bambini. I soldati si abbandonarono anche alla tortura e allo stupro degli abitanti. Il comandante della compagnia, il tenente William Calley, fu condannato nel 1971 ai lavori forzati a vita (pena commutata dal presidente Nixon nella detenzione in un carcere federale). Il massacro di My Lai indignò l’opinione pubblica degli Stati Uniti, che reagì con imponenti manifestazioni di massa per il ritiro delle sue truppe dai territori occupati.

La differenza tra una democrazia e una dittatura sta qui. Anche la prima può macchiarsi di crimini orrendi, ma ha gli anticorpi, a partire da una libera informazione, per contrastare il virus della violenza e dell’infamia. Ma c’è anche una differenza tra allora e adesso. Allora i pacifisti (sia socialcomunisti che cattolici) si battevano strenuamente contro l’imperialismo americano, e chiedevano come condizione della fine della guerra la resa degli aggressori. Adesso i pacifisti ( sia ex socialcomunisti che cattolici) non si battono, o si battono molto tiepidamente, contro l’imperialismo russo, e chiedono come condizione della fine della guerra la resa degli aggrediti. Insomma, fuori dai denti: il pacifismo senza se e senza ma è mosso anzitutto da amore per la pace, oppure da odio per l’occidente?

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