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Pansa

Il mio ricordo di Pansa. Firmato: Cazzola

Con Pansa, se ne va un "grande vecchio’’ del giornalismo, uno scrittore coraggioso che, divenuto storico, non ha esitato a cercare la verità anche sfidando la narrazione ufficiale e politicamente corretta dei vincitori. L'articolo di Giuliano Cazzola

Giampaolo Pansa non è più tra noi. Con lui se ne va un “grande vecchio’’ del giornalismo, uno scrittore coraggioso che, divenuto storico, non ha esitato a cercare la verità anche sfidando la narrazione ufficiale e politicamente corretta dei vincitori.

La sua determinazione nel fornire una rappresentazione reale della guerra civile che aveva insanguinato l’Italia dal 1943 al 1945, cercando di comprendere le ragioni dei vinti (senza mai passare dalla parte sbagliata della storia) e svelare la brutalità che spesso caratterizzò l’azione dei vincitori, gli alienarono delle amicizie, gli procurarono delle contestazioni, a cui Pansa reagì continuando nella sua opera di ricostruzione onesta dei fatti.

Giampaolo si era occupato della Repubblica di Salò nella sua tesi di laurea (il testo venne poi rimesso a punto e pubblicato all’inizio degli anni Novanta con il titolo ‘’Il gladio e l’alloro. L’esercito di Salò’’). Pansa ha sempre ricordato di aver partecipato, da giovane, nell’immediato dopoguerra, mentre era ancora fresco di studi, a un Convegno sulla Resistenza, dove era presente Ferruccio Parri (che fu il primo presidente del Consiglio dopo la Liberazione).

Dopo aver ascoltato solo dei discorsi osannanti e acritici, Pansa chiese la parola sostenendo che, sul piano storico e politico, sarebbe stato sbagliato rinchiudere la vicenda della RSI nell’inferno in cui la storia l’aveva confinata e gettare via la chiave per sempre. Dopo di lui quelli che intervennero – raccontava Giampaolo – si dichiaravano stupiti ed offesi per la presenza di uno studente fascista. Ma Parri lo chiamò e lo prese da parte, lo incoraggiò a continuare gli studi che stava conducendo e gli consegnò persino un assegno di 25mila lire dicendogli, come per scusarsi, ‘’di più non mi è possibile’’. Ci vollero ancora dei decenni, perché toccasse ad un presidente della Camera, già comunista, rendere omaggio, nel suo discorso di insediamento, ai caduti (soprattutto alle donne) dalla parte sbagliata.

Ho conosciuto Pansa attraverso Adele Grisendi. Con Adele avevo stabilito un rapporto di stima e cordiale amicizia quando ero segretario della Cgil emiliano romagnola. Lei lavorava alla Fiom di Reggio Emilia, nella zona di Sant’Ilario d’Enza (dove era fiorente l’industria del barattolo). Poi fu chiamata in Confederazione a Roma, quando io ero in segreteria nazionale. Un giorno mi disse che un suo amico avrebbe avuto il piacere di conoscermi e che mi invitava a cena. Non volle dirmi il nome, ma all’appuntamento mi ritrovai a tavola con Giampaolo. La dolce storia con Adele era appena cominciata.

Sarebbe diventata la compagna della sua vita, la cui vicinanza aiutò Giampaolo a superare l’atroce dolore della morte dell’unico figlio in età ancora giovane e nel pieno dell’impegno professionale Adele ha accompagnato il marito – dopo tante battaglie sempre in prima linea, combattute correndo il rischio di non essere compreso – fino al momento in cui ‘’il grande vecchio’’, colui che con ‘’Il Bestiario’’ aveva cambiato lo stile del giornalismo politico in Italia – ha ritrovato quella serenità che manca agli animi inquieti e che gli ha consentito di incamminarsi lungo la via che conduce ai Campi Elisi, ripetendo tra sé e sé – ne sono convinto – le parole di San Paolo: ‘’Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede’’.

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