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Il M5S sta al governo per il Quirinale?

Il post di Battista Falconi La riflessione dell’ignorante e occasionale osservatore della politica, dopo il voto di ieri, diventa: perché i Cinque Stelle si sono impelagati in un’avventura governativa che avrebbe avuto un inevitabile effetto negativo sul movimento? L’arretramento grillino era prevedibilissimo, poiché assumere responsabilità amministrative, politiche e gestionali – di questi tempi – provoca…

La riflessione dell’ignorante e occasionale osservatore della politica, dopo il voto di ieri, diventa: perché i Cinque Stelle si sono impelagati in un’avventura governativa che avrebbe avuto un inevitabile effetto negativo sul movimento? L’arretramento grillino era prevedibilissimo, poiché assumere responsabilità amministrative, politiche e gestionali – di questi tempi – provoca quasi sempre un ritorno simile.

Comandare era meglio che fottere in prima Repubblica quando, grazie a uno sprezzo suicida per la salute dei conti pubblici, si elargivano prebende, posizioni, vitalizi, posti, pensioni, condoni, guadagnando così un facile appoggio popolare. Un’allegra gestione in parte legata alla necessità di fronteggiare una concorrenza politica ben più dura e abile di quella odierna: bisognava vedersela con delle vere opposizioni, parlamentari e sociali. Nel ventennio berlusconiano comandare e fottere in qualche modo sono diventati la stessa cosa, ci si passi la battuta, nel senso che il Cavaliere ha coinvolto gran parte d’Italia in un percorso quasi onirico, surreale, di artificioso godimento collettivo nel quale Silvio, come in una commedia classica, impersonava il deus ex machina.

Ma oggi, ci si passi per l’ultima volta l’uso dell’inelegante espressione, comandare vuol dire quasi sempre essere fottuti. La cosa è tanto chiara a chi abbia un minimo di pelo politico sullo stomaco che varie volte, per esempio nei casi delle elezioni a sindaci capitolini di Ignazio Marino e Virginia Raggi, si è avuta la netta impressione che i maggiori stakeholder abbiano giocato per perdere, consci che prendere in mano casse, strade e monnezza di Roma sarebbe stato un suicidio. Per quanto riguarda i Cinque stelle, anzi, l’arretramento era già atteso, viste le non poche e tutt’altro che felici esperienze amministrative locali, quella romana in primis. E considerata anche l’evidente aleatorietà e contraddittorietà dei programmi e delle dichiarazioni succedutisi nel tempo.

Diventare vicepremier, assumere la responsabilità del Lavoro, fare da motore dell’esecutivo assieme a un concorrente vituperato in tutti i modi possibili, prima e dopo la campagna elettorale, dopo una trattativa estenuante, sotto la guida formale di un Carneade, è per Luigi Di Maio e per i grillini una scelta apparentemente folle, insensata. Era ovvio che avrebbero defezionato almeno i seguaci posizionati a sinistra (uno dei pochi meriti del M5S è aver scardinato la dicotomia destra-sinistra, ricordiamolo sempre). E poi l’effetto rimbalzo a una tornata elettorale ci sta comunque, salvo che chi si trova in sella al momento della consultazione non possegga un carisma straordinario, come quello del miglior Matteo Renzi: Di Maio non lo ha di sicuro, è istintivamente antipatico, è troppo giovane, troppo perfettino, troppo privo di esperienze, troppo ignorante e troppo bravo a mascherarlo.

Allora, perché? Certo, il groviglio post 4 marzo era inestricabile: andare alle urne di nuovo con questa legge avrebbe aperto derive imprevedibili, quasi sicuramente ci sarebbe stato un nuovo, identico stallo e a quel punto, la vittoria centrista sarebbe stata servita su un piatto d’argento ai democristiani di Pd e Forza Italia. E poi c’è la serissima battuta di Beppe Grillo: potrei fare il presidente della Repubblica. Se per mero miracolo la legislatura proseguisse fino al termine, con l’attuale premier o meno, i rapporti parlamentari non escluderebbero l’ipotesi. Il che, peraltro, sarebbe un incasso adeguato all’investimento fatto in politica.

Le sorti dei pentastellati sono state segnate da un non del tutto chiarito mezzo passo indietro di Grillo e dalla scomparsa di Casaleggio padre. Ma non bisogna scordarsi che il comico non troppo poco tempo fa ha attraversato a nuoto lo Stretto di Messina: ha fiato da vendere. Assiste quasi silente alla boutade rappresentata nelle piazze e nei palazzi, ma non è detto che non voglia tornare in scena alla grande, da protagonista.

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