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Il Foglio si incarta su Draghi al Quirinale?

Draghi al Quirinale? Gli auspici del Foglio e le parole dei draghiani (veri o presunti). I Graffi di Damato

 

Solo i fatti, peraltro anche a breve scadenza, diciamo fra gennaio e febbraio, massimo marzo, potranno dirci almeno sotto il profilo della politica interna, non estranea di certo agli interessi del Foglio che dirige, se è più consolante o consolatoria la scommessa sull’ottimismo che Claudio Cerasa ha rinnovato a conclusione della quinta edizione dell’omonima festa organizzata dal suo giornale a Firenze. Dove si sono alternati sul palco più di venti ospiti di ogni colore e mestiere, diciamo così, intervistati dalle migliori firme del quotidiano, salvo il fondatore Giuliano Ferrara, per esplorare il nostro presente e il nostro futuro.

Almeno sino al 23 novembre scorso, cioè non più di una settimana fa, quando lo stesso Giuliano Ferrara cominciò a scherzarci sopra conferendo un “bel trenta e lode, più l’abbraccio accademico” al sempre amico e “amor suo” Silvio Berlusconi, ormai impegnato nella scalata al Quirinale dietro il pannello di un cantiere non ancora aperto, era stata componente importante dell’ottimismo del Foglio il possibile trasferimento di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale. Dove in sette anni -avevano spiegato Ferrara e amici- lo stesso Draghi avrebbe potuto fare per l’Italia, e persino per l’Europa, ben più di quanto gli sarebbe stato concesso per qualche mese o settimana ancora da presidente del Consiglio con un altro capo dello Stato.

Pur ridimensionato dal sarcastico applauso di Ferrara alla “missione difficile ma chissà” di Berlusconi al posto di Mattarella, l’obiettivo, il sogno e quant’altro di Draghi al Quirinale è rispuntato in un po’ in tutti i passaggi del raduno del Foglio nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. Ma neppure il nome della festa è riuscito a cambiare il clima sottinteso a quel rifugio di Ferrara nell’ironia del 23 novembre. La ministra forzista Mara Carfagna, pur considerata fra quelle meno ingessate della sua parte politica, ha lanciato da Firenze l’appello a lasciare tranquillamente Draghi al suo posto, come contemporaneamente raccomandava Silvio Berlusconi in persona lasciandosi intervistare al telefono nella sua Milano dal Corriere della Sera.

Sulla stessa posizione, pur non spingendosi, almeno sinora, ad aprire ad una candidatura di Berlusconi al Quirinale, si è collocato davanti ai “foglianti” il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Che anche come presidente del nuovo comitato di garanzia, o come diavolo si chiama, nel MoVimento 5 Stelle è l’amico, diciamo così, da cui si deve guardare di più il presidente Giuseppe Conte: più ancora che dall’altro ma supremo “garante” Beppe Grillo. Dal quale non a caso l’ex presidente del Consiglio si è appena guadagnata in una videoconferenza la qualifica di “maggiore esperto di penultimatum”, cioè di nulla.

Il segretario del Pd Enrico Letta, pure lui a Firenze tra i “foglianti”, è stato su Draghi al Quirinale di un allusivo preoccupante quando, professandosi favorevole all’esaurimento ordinario della legislatura nel 2023, nonostante la voglia di urne che gli attribuisce Matteo Renzi, ha detto che la successione al vertice dello Stato non dev’essere “il preludio al precipitare degli eventi verso elezioni anticipate”. A Draghi insomma “tocca lavorare” ancora a Palazzo Chigi, come ha titolato Il Tempo. “Al governo per forza”, ha scritto in rosso Libero avvertendo una “grande alleanza” contro un trasferimento del presidente del Consiglio al Colle.

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