Da Taranto in su è tutto un naufragio, fisico e metafisico, per il povero Conte. Le maggioranze gli sfuggono di mano come pesci, per quanto lui riesca a cambiarle dalla mattina alla sera per assicurarsene una finalmente affidabile.

Il presidente del Consiglio, da gran signore come ci tiene a sembrare, anche con l’acqua alla gola e non più solo all’inguine, forse non lo ammetterà mai, essendo stato peraltro spinto a Palazzo Chigi proprio da loro, con un Mattarella più rassegnato che convinto al Quirinale. Ma i problemi politici, e ora anche istituzionali, di Conte derivano tutti o prevalentemente dai grillini: altro che dai due Mattei — Salvini e Renzi — che si sono succeduti nel ruolo mediatico di alleati scomodi, inaffidabili e quant’altro.

Si sono decisi a riconoscere questa realtà anche al Fatto Quotidiano, dove pure c’è gente volenterosa che stima e perfino vuole bene a Conte, che ricambia giustamente con tutta la disponibilità di cui è capace trovando sempre il tempo, anche nelle condizioni temporali più disperate, di farsi intervistare: se non danneggiato dall’acqua, anche col telefonino lasciatogli in tasca da Rolli.  È proprio sul giornale diretto da Marco Travaglio che è appena uscito, in testa alla prima pagina, un “viaggio nel caos dei 5Stelle”, pur “scampati”, chissà poi come e perché, “alla trappola Ilva” che risulta invece ancora lì, al suo posto, a minacciare decine di migliaia di posti di lavoro, diretto e indiretto, o indotto.

Guidati dagli informati Luca De Carolis e Paola Zanca, i lettori del Fatto Quotidiano sono stati accompagnati fra “chi sale, chi scende e chi sta con chi” nel Movimento, con la maiuscola, fondato dal comico Beppe Grillo come uno scherzo in piazza a Bologna e diventato in meno di dieci anni — pensate un po’ — il primo partito italiano, con una rappresentanza parlamentare paragonabile a quella che fu la Dc nella cosiddetta prima Repubblica. È stato un miracolo, temo, sfuggito a Padre Pio, di cui è dichiaratamente fedelissimo il presidente del Consiglio in carica. Già nel sommario di richiamo in prima pagina emerge tuttavia dal “viaggio” giornalistico il “capo da Statuto” del Movimento 5 Stelle, come Luigi Di Maio viene definito all’interno da Luca De Carolis, in tutta la sua debolezza: “sempre più accerchiato tra correnti e spine”.

In verità, nel Movimento 5 Stelle, sempre al maiuscolo, per carità, “non esistono correnti”, fa dire tra virgolette ai suoi informatori lo scrupoloso De Carolis, che tuttavia aggiunge con apprezzabile onestà: “Però i centri di potere sì, eccome, con squadre annesse”. Da cui il povero Di Maio deve pur difendersi, vivaddio, specie dopo la sfortuna capitatagli con Salvini di perdere a fine maggio, nelle elezioni europee, metà dell’elettorato raccolto poco più di un anno prima. Egli difende la sua posizione sino a minacciare i dissidenti con le elezioni anticipate, che li decimerebbero, o a rimpiangere l’alleanza con i leghisti, peraltro dimostratisi così carini con lui da offrirgli nella crisi d’agosto la carica di presidente del Consiglio, al posto di un Conte già convinto di poter restare a Palazzo Chigi cambiando alleati.  “Luigi, in realtà, non vuole tornare con il Carroccio — fa dire De Carolis al suo informatore — ma farlo sospettare gli serve come strategia, per tenere a a bada i gruppi. Deve tenerli sulla corda ricordando che lui può tenersi aperta ogni strada”.

Particolarmente scoperto è il nervo di Di Maio per la ormai cronica incapacità del gruppo parlamentare grillino della Camera di eleggere il nuovo presidente per “la stupidità della norma” interna che reclama la maggioranza assoluta, di cui nessuno dispone proprio per le tensioni esistenti e coinvolgenti lo stesso Di Maio. Pertanto risulta particolarmente evidente “la chiara fame di caos in un gruppo sfaldato in frange”. È un caos che si trascina da oltre  due mesi e che ne provoca altro: per esempio, nel Pd che — racconta De Carolis — “guarda da fuori, preoccupatissimo” ciò che accade sotto le 5 stelle, le cui “croci pesano anche sui dem sempre di più”. E ciò ben al di là dei sorrisi che il segretario del Pd Nicola Zingaretti è andato a spargere ai suoi interlocutori americani in un viaggio che comunque lo farà tornare in Italia ancora più in ansia della partenza.