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Il fantastico mondo autoreferenziale di Joe Biden

La bolla trumpiana abbiamo imparato a conoscerla fin troppo bene con le sue apocalissi distopiche, le sue teorie cospirative. Ma è chiaro che anche Biden e i suoi hanno vissuto a lungo nella loro di bolla. Il commento di Mario Del Pero, professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'études politiques - SciencesPo di Parigi

 

LE BOLLE DI BIDEN E TRUMP

Uno dei (tanti) problemi delle democrazie contemporanee è che i suoi attori agiscono spesso dentro bolle auto-referenziali: casse di risonanza, amplificate dalle nuove forme di comunicazione, nelle quali echeggiano solo i suoni graditi e auto-prodotti, con cui si confermano convincimenti, pregiudizi e stereotipi. La bolla trumpiana abbiamo imparato a conoscerla fin troppo bene con le sue apocalissi distopiche, le sue teorie cospirative, le sue tentazioni autoritarie ed eversive. Ma è chiaro che anche Biden e i suoi hanno vissuto a lungo nella loro di bolla: in uno spazio nel quale ci si rifiutava di dare peso alle diffuse e comprensibili preoccupazioni per la visibile senilità di un Presidente anziano, affaticato e non sempre lucido che si ostinava però a ricandidarsi a un secondo mandato.

UN CONFRONTO TRA BIDEN E TRUMP

Di giustificazioni per questa incapacità di uscire da una bolla in ultimo autolesionista ve sono molte. A prescindere dai giudizi politici – legittimamente critici o positivi a seconda delle sensibilità – è difficilmente contestabile che l’amministrazione Biden abbia agito con grande efficacia, ottenendo risultati legislativi come forse non si vedevano da decenni. Risultati, questi, permessi dalla coesione di un’amministrazione straordinariamente unita e disciplinata, in contrasto stridente con il caos di quella precedente, contraddistinta invece da un incessante tourbillon di dimissioni, polemiche e accuse (in un mandato, Trump è riuscito a cambiare quattro capi di gabinetto, quattro consiglieri per la sicurezza nazionale, cinque ministri della giustizia; se il turnover nel gabinetto di Trump è stato del 71%, con 28 sostituzioni, in quello di Biden è a oggi del 13%, con appena 4 sostituzioni). Il tutto in un contesto dove il Presidente si confermava una delle poche figure, se non l’unica, in grado di portare a sintesi le diverse anime di un partito democratico composito e potenzialmente diviso, come confermavano le importanti leggi approvate da un Congresso dove i democratici avevano maggioranze risicatissime e non potevano permettersi alcuna defezione.

EFFETTO BOLLA ACCECANTE PER BIDEN

L’efficacia dell’azione di governo e della sua leadership dentro il partito spiegano perché Biden e i suoi consiglieri ritenessero legittimo, se non obbligatorio, chiedere un secondo mandato. E qui però l’effetto accecante della bolla si è fatto sentire. Perché i segni dell’età del Presidente erano sempre più visibili. E perché era il paese a esprimere crescente preoccupazione verso la capacità di Biden a continuare a svolgere il suo compito, come rivelavano implacabili sondaggi in cui anche ampie maggioranze di elettori democratici si dichiaravano contrari a una sua ricandidatura.

BIDEN PADRE NOBILE E STOP

Si sarebbe potuto gestire una transizione ordinata, con regolari primarie sotto l’egida di un Biden eretto a padre nobile del partito se non della patria. Si è preferito non vedere e oggi il Presidente e i democratici si trovano in una situazione difficile e per certi aspetti ingestibile. Non si vede davvero come Biden possa pensare di rimanere in sella, con sondaggi che non solo lo vedono arrancare dietro Trump ma che mostrano anche come sia molto più debole in alcuni degli Stati che in novembre saranno decisivi (Arizona, Nevada, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin) rispetto ai candidati democratici al Senato.

GLI SCENARI

Dovesse ritirarsi, si apriranno però dilemmi complessi e con un voto che si fa sempre più vicino. Sostituirlo con la vice Kamala Harris sarebbe per molti aspetti la scelta naturale, non fosse che Harris è forse ancor più debole e impopolare di Biden. Scavalcare Harris, magari con un ticket di governatori popolari – come Gretchen Whitmer del Michigan e J.B. Pritzker dell’Illinois o Josh Shapiro della Pennsylvania – rischia di avere effetti laceranti sulla fragile unità democratica.

Le bolle, si diceva, accecano. E portano a negare: il risultato del voto del 2020, nel caso di Trump; la disponibilità degli elettori a chiudere gli occhi sulla sua senilità, nel caso di Biden. Ma se per il suo negazionismo, Trump non pare avere pagato dazio, il costo di quello di Biden potrebbe essere salatissimo per i democratici.

(Estratto dal blog Libertà e impero: gli Usa e il mondo)

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