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Giorgetti

Il 25 aprile di La Russa

Penso che La Russa troverà il modo di partecipare alla festa del 25 aprile a suo modo, come ha ricordato di aver fatto come ministro della Difesa. I Graffi di Damato

 

Certo, a leggere su tutta la prima pagina della Stampa quel virgolettato del presidente del Senato Ignazio La Russa che con sei mesi di anticipo annuncia: “Non festeggio questo 25 aprile”, viene subito voglia, d’istinto, di consigliare a Giorgia Meloni, peraltro reduce da una visita alla tomba del milite ignoto all’altare della Patria, di guardarsi più dagli amici che dai nemici. E di ripetere l’omonima e celebre preghiera al Signore.

Uno però va a leggersi l’intervista, raccolta da Paolo Colonnello nell’abitazione milanese di La Russa, con tanto di descrizione anche dei cimeli fascisti in parte ereditati dal padre, e scopre che quel virgolettato è alquanto forzato, a dir poco. A domanda -direbbe un verbale giudiziario- se “celebrerà il 25 aprile”, l’imputato risponde: “Dipende. Certo non sfilerò nei cortei per come si svolgono oggi. Perché lì non si celebra una festa della libertà e della democrazia ma qualcosa di completamento diverso, appannaggio di una certa sinistra”. Che infatti suole fischiare, per esempio a Milano, la rappresentanza delle formazioni ebraiche partecipanti alla liberazione dell’Italia dal nazifascismo.

“Non ho avuto difficoltà come ministro della Difesa a portare una corona di fiori al monumento dei partigiani al cimitero Maggiore di Milano. E non era un atto dovuto”, ha ricordato il presidente del Senato. Che come tale si è poi difeso anche da una domanda d’accusa su presenze che potrebbe risparmiarsi, come quelle recenti nella sede del suo partito e a Palazzo Chigi, quanto meno inopportune per la seconda carica dello Stato, cui meglio si addice “ un passo indietro”.

Anche a questa domanda -per dirla giudiziariamente- l’imputato ha risposto. E, ripetendo “la promessa solenne” fatta dopo l’elezione al vertice di Palazzo Madama di “essere presidente di tutti, sforzandomi di garantire sia maggioranza che opposizione”, ha detto: “Solo a me hanno cominciato a guardare dove metto i piedi! Ricordo che Bertinotti, Fini e Casini erano capi di partito e facevano i Presidenti della Camera. Oppure ricordo il Presidente del Senato Forlani: altro che La Russa”.

Quel Forlani naturalmente è un lapsus, al posto di Fanfani. Correttezza forse avrebbe voluto che l’intervistatore lo rilevasse con una interruzione, che mi rifiuto di credere evitata per allungare sull’intervistato l’ombra di una smemoratezza già all’età di 75 anni, oggi considerabile di normale anzianità, diciamo così. Di Fanfani comunque La Russa fa bene a ricordare quanto si è risparmiato di esplicitare: quella riunione di capicorrente del suo partito, la Dc, convocata nel 1973 a Palazzo Giustiniani, e da lui stesso presieduta, per rovesciare i risultati dei congressi locali svoltisi nelle precedenti settimane e indirizzare il congresso nazionale, alla sua immediata vigilia, verso una direzione opposta: la rimozione del pur fanfaniano Arnaldo Forlani dalla segreteria democristiana e di Giulio Andreotti da Palazzo Chigi col suo governo. In cui i liberali avevano preso il posto dei socialisti usciti due anni prima dalla maggioranza di centro-sinistra per l’elezione di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica, non concordata con loro.

Non per voler fare processi a giornali e giornaloni ma solo per rilevarne una fragilità quanto meno pari alla tanto bistratta informazione digitale, più immediata e ormai anche più diffusa, non mi sembra il caso di complicare ulteriormente da parte dei giornalisti una situazione politica già difficile di suo introducendo tensioni a dir poco forzate. Penso che La Russa troverà il modo di partecipare alla festa del 25 aprile a suo modo, come ha ricordato di aver fatto come ministro della Difesa, sapendo bene com’è nata la Repubblica in Italia: sulle ceneri di un fascismo troppo a lungo tollerato da una Monarchia per questo rovesciata nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946. E sapendo bene anche quanto siano accesi i riflettori dell’antifascismo sul governo di destra-centro ai suoi primi passi.

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