Speriamo che la discussione nel club dei Volenterosi rappresenti soprattutto un falso bersaglio. Così pure come le continue oscillazioni di Donald Trump. Che una volta promette ed un’altra minaccia. Discussioni ed atteggiamenti tutt’altro che inutili, in vista di un possibile futuro. Ma fin troppo anticipati rispetto al normale decorso degli eventi, segnati da un Putin del tutto insensibile sia agli appelli che alle proposte, ma determinato nel continuare in un’azione bellica sempre più caratterizzata dagli attacchi contro quel che resta delle strutture civili (case, scuole, ospedali, impianti e via dicendo) di quel martoriato Paese.
Nella speranza che prima o poi si giunga a questo appuntamento, l’importante è giungervi vivi. Dopo aver utilizzato tutte le risorse necessarie per sopravvivere. Ed ecco allora che, mentre si deve continuare a discutere di futuro, il ruolo più immediato di quell’Occidente, che ha nel “Club dei Volenterosi” il suo punto di forza, è diverso. Si tratta di fornire ai combattenti di quel Paese tutta l’assistenza militare necessaria: armi adeguate, logistica, intelligence per resistere alle devastazioni e limitare i danni. Dei dettagli non è necessario parlare. Anzi meno se ne discute pubblicamente e meglio è. L’importante è che quelle forniture giungano a destinazione quanto prima. Evitando quei ritardi che, in passato, hanno pesato sul piano militare, consentendo all’esercito invasore di conquistare rilevanti porzioni di territorio.
Questo significa forse voler puntare su una sconfitta militare della Russia? Non è questo l’obiettivo. In passato uno slogan di successo delle lotte operaie era “resistere un minuto di più del padrone.” Pre – condizione necessaria per strappare un accordo che consentisse di ripagare dei sacrifici sostenuti. La situazione non è poi così diversa nel caso dell’aggressione russa. Tre anni e mezzo di combattimento stanno a dimostrare le difficoltà di chi era partito per concludere una rapida “operazione militare speciale” ed invece si trova impantanato nella più classica guerra di posizione. La più costosa, in termini di vite umane, che l’umanità abbia mai conosciuto.
In Afganistan ci sono voluti 10 anni. Ma alla fine uno degli eserciti più forti del mondo, come quello sovietico, è stato costretto ad abbandonare la partita. Qualcuno dirà che forse dalla padella si è caduti nella brace, ma in Ucraina esistono anticorpi tali da impedire il ripetersi di una simile sciagura. Quindi lunga vita al porcospino. Che i suoi aculei tengano lontano gli invasori. Che siano continuamente rinforzati dagli apporti di un Occidente che difendendo l’Ucraina difende sé stesso. Cosa che Donald Trump non ha completamente metabolizzato. Sottovalutando il fatto che una sconfitta dell’Europa non farebbe altro che consentire alla Federazione russa di concentrare tutti gli sforzi sul fronte orientale. In quella zona del Pacifico che rappresenta il centro dei nuovi interessi geopolitici di Washington.
Ovviamente l’Ucraina non è l’Afganistan, ma nemmeno la Federazione Russa è la Russia sovietica. La sua economia non sembra essere in grado di sopportare una guerra di lunga durata. Specie se i combattenti di Kiev, grazie anche alle armi occidentali, riusciranno a neutralizzare le fonti dei suoi principali guadagni. All’inizio l’invasione, come nel caso del più classico paese capitalistico, aveva scatenato gli animal spirit. Nonostante le sanzioni e la fuga delle principali società internazionali, il Pil era cresciuto, anno dopo anno. Merito soprattutto di una riconversione militare dell’intera struttura industriale e di una domanda pubblica in rapida espansione per far fronte ai costi della guerra.
Sennonché non tutto era oro quel che brillava. Il risvolto di quello sforzo, per così dire patriottico, era rappresentato da un’inflazione in rapida crescita al punto da spingere la Banca centrale ad una politica monetaria particolarmente dura. Guidata da un tasso di riferimento che dallo scorso anno aveva raggiunto il 21%. E che solo recentemente, dopo mille insistenze del Cremlino, era stato portato al 18%. Un livello, ancora oggi e con più di una ragione, giudicato insostenibile. Mentre infatti il “complesso militare – industriale”, interamente supportato dal bilancio statale può beatamente infischiarmene, non altrettanto può fare quel poco che è rimasto dell’imprenditoria privata. Vittima di un fenomeno di spiazzamento non ha potuto far altro che ridurre gli investimenti, alimentando un’ulteriore contrazione dell’offerta, destinata, a sua volta, ad esacerbare il fenomeno inflazionistico. Contraddizioni inestricabili.
A complicare ulteriormente il quadro, la circostanza che la principale fonte delle entrate erariali provengono dalla vendita del petrolio e del gas. Produzioni duramente colpite dalla balistica ucraina proprio con l’intento di far del male, nella speranza di ridurre la pressione russa sulle proprie strutture civili. Ecco perché servono armi moderne, capaci di bucare le difese russe al fine di colpirne l’economia. La minore offerta di prodotti energetici, infatti, non è solo destinata ad aumentare i prezzi al consumo, ma a fornire al popolo russo un’immagine più realistica di un conflitto difficilmente giustificabile agli occhi di una pubblica opinione. Considerato che il Cremlino sta lottando per un fazzoletto di terra, rispetto alle dimensioni del Paese più esteso del mondo. Ad un costo di vite, distruzioni e di abomini inenarrabili.
Ecco quindi perché occorre continuare. A dispetto di qualsiasi altra considerazione. Che comunque non va dimenticata. La storia, da questo punto di vista, qualcosa può insegnare. Se “nel momento più buio” Winston Churchill non avesse fatto appello al coraggio ed ai valori più profondi della civiltà occidentale, probabilmente, oggi saremmo in una situazione ben peggiore. Ed é questo lo spettro che l’Europa deve esorcizzare.