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Giorgetti

I fastidi a 5 stelle di Conte con Draghi a Palazzo Chigi

I Graffi di Damato

Giuseppe Conte, anche a costo di potersi procurare a questo punto il soprannome dello smemorato di Volturara Appula, dove nacque 57 anni fa con un cuore che già allora “buttava più a sinistra”, è tornato a lamentarsi del troppo riguardo riservato a Mario Draghi dai giornali italiani.

In particolare, ospite della festa annuale del Fatto Quotidiano, davanti a un pubblico in adorazione, pur riconoscendo – per carità – che “Draghi rappresenta bene l’Italia”, Conte ha lamentato la bolla di “enfasi” in cui vive l’attuale governo, succeduto a sorpresa al suo secondo Gabinetto, o Ministero. A sorpresa, perché incontrandolo nei mesi precedenti egli aveva aveva trovato Draghi troppo stanco delle fatiche al vertice della Banca Centrale Europea per avere la voglia di sostituirlo a Palazzo Chigi. Dove già qualcuno desiderava invece di vederlo considerando uno spreco la sua posizione di pensionato, attivo solo in Vaticano per la nomina all’Accademia Pontificia delle scienze sociali decretata da Papa Francesco.

Parlare, anzi riparlare, avendone già una volta accennato in una lettera critica al direttore della Stampa Massimo Giannini, richiamato alle raccomandazioni del cardinale Talleyrand di non esagerare con lo zelo, è un po’ come dare del cornuto all’asino da parte del bue, come dice un vecchio proverbio. Non dimentichiamo, per favore, il Conte coccolato da molti giornali ai suoi tempi di presidente del Consiglio come un genio, o un eroe.

Fu con lui a Palazzo Chigi, per esempio, che una sera si affacciò al balcone l’allora vice presidente del Consiglio e pluriministro Luigi Di Maio per annunciare ad una folla smaniosa di andare a festeggiare sotto i ponti del Tevere l’abolizione addirittura della povertà appena decisa dal governo con l’istituzione del reddito di cittadinanza. Che, dati i frutti, Giorgia Meloni ha appena paragonato al metadone per i drogati incorrendo nell’accusa di “volgarità” da parte dell’ex presidente del Consiglio, pronto alle barricate da presidente del MoVimento 5 Stelle se qualcuno volesse davvero abolirlo, fosse pure la maggioranza degli elettori in un referendum.

Enfatica, a dir poco, fu anche la vittoria attribuita a Conte quando, sempre da Palazzo Chigi, sfidò l’Unione Europea con uno sforamento del rapporto fra deficit e pil nell’ordine del 2,4 per cento aggiustato strada facendo con uno zero prima del 4.

Non meno enfatica fu poi l’annuncio dei 200 miliardi e più di euro strappati da Conte con la propria credibilità all’Unione Europea, tra contributi a fondo perduto e crediti, per il finanziamento del piano di ripresa dopo i guai della pandemia. Della cui realizzazione poi Draghi lo avrebbe praticamente scippato sostituendolo a Palazzo Chigi. Non si è mai affacciato alla mente di Conte, e dei suoi estimatori e nostalgici, quanto meno il sospetto che a far cambiare musica a Bruxelles, e allargarne la borsa, fossero stati proprio i guai della pandemia rovesciatisi sull’Unione.

In queste condizioni, oltre che nella permanente confusione del MoVimento che ora guida sotto l’alta e oracolare vigilanza di Beppe Grillo, trovo alquanto ambigua politicamente la relativa lealtà appena assicurata da Conte con quel titolo del Fatto che dice, a proposito delle sue dichiarazioni: “Leali a Draghi, ma dipende”.

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