Svolta trumpiana alla Link Campus University di Roma? È la domanda che circola nella capitale in ambienti politici dopo la recente decisione con cui il Senato accademico dell’ateneo fondato e presieduto dall’ex ministro Dc Vincenzo Scotti, di concerto con il comitato esecutivo dell’università, ha tagliato di fatto i ponti con Huawei.
Una mossa, quella della Link, che non è passata inosservata, e che la pone in scia con una serie di istituzioni universitarie americane, come il prestigioso Massachuttes Institute of Technology (che, per inciso, ha reciso i legami anche con l’altro colosso cinese delle tlc nell’occhio del ciclone Usa, Zte), che hanno fatto altrettanto.
Ma cosa ha deciso esattamente la Link e con quali motivazioni? La delibera del Senato accademico – composto, oltre che da Scotti, dal rettore Claudio Roveda e dai prof. Pierluigi Matera e Carlo Maria Medaglia – è breve ma è tutta da leggere. Esordisce, anzitutto, ricordando quanto sia “importante” la “collaborazione esistente tra Cina, Unione Europea ed il loro crescente interscambio” e sottolineando la necessità di “un dialogo costruttivo lungo le linee indicate nelle risoluzioni del Parlamento Europeo“.
A questa interlocuzione con la potenza asiatica, la Link University vuole prendere parte in linea con la sua vocazione – ricordata nel documento – a sviluppare rapporti di “cooperazione con Università e istituzioni anche fuori dall’Unione Europea e dall’Alleanza Atlantica”. Come dire: siamo europei, e anche atlantisti, ma questo non ci esime dal confrontarci con un Paese con la cui ascesa tutti devono fare i conti.
Sviluppato questo preambolo, però, il tono della delibera muta drasticamente. Ok la collaborazione, si sottolinea, ma a patto che sia “ fondata su criteri di trasparenza, correttezza e reciprocità anche nella collaborazione accademica e scientifica”.
Insinuato il sospetto, il documento prepara la bordata. Senato accademico e Comitato esecutivo, si legge, hanno “esaminato le recenti controversie, le discussioni ed i rischi emersi sulle condizioni di sicurezza e reciprocità nell’interscambio di beni e servizi ad alto contenuto tecnologico” con alcune imprese cinesi (che non vengono menzionate ma che tutti, anche i più distratti, capiscono trattarsi di Huawei).
Cosa esattamente sia emerso, dal vaglio effettuato dalle autorità della Link, non è dato sapere. L’unico indizio viene dalla menzione di non meglio precisati “incidenti già verificatisi in passato”. Prove, insomma, non vengono fornite. Ma di qualsiasi cosa si tratti, deve essere stata sufficiente a mettere sotto gli occhi dell’università “i rischi connessi alle garanzie e tutele per utenti, operatori e per le esigenze della sicurezza internazionale”.
Alla luce di tutto ciò, la conclusione cui giunge il Senato Accademico della Link è drastica: si decide di “non mettere a disposizione le proprie competenze scientifiche nel campo di difesa e sicurezza a quelle imprese, impegnate nello sviluppo delle tecnologia di 5G, delle quali non siano ancora pienamente garantiti gli standard, le regole ed i processi concertati con i paesi dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica”.
La decisione della Link assume ulteriore valenza, e significato, alla luce delle posizioni tutt’altro che anti-cinesi espresse in passato dall’ateneo e dal suo presidente. Il 20 gennaio del 2018, ad esempio, le porte del campus si aprivano al seminario internazionale “The EUSAIR Macroregional Strategy for Tourism and Transport: the Maritime Western Silk Road Opportunities” organizzato da EUSARI – EU Strategy for the Adriatic and Ionian Region.
In quell’occasione, l’ateneo diramava sul suo sito un comunicato dal titolo “Nuova via della seta. L’impegno di Link campus University”. Un testo che presentava la Cina come “un player fondamentale, un attore centrale a tutti gli effetti”; un “paese-continente” che, come la sua “classe dirigente”, “integra una cultura millenaria e una grande capacità di visione”.
Nella rassegna delle iniziative propiziate dalla Link al fine di costruire ponti con l’ex impero di mezzo, salta agli occhi anche il convegno “Smart Cities and Digital Trasformation Dialogue, Italy and China” organizzato lo scorso 22 marzo dall’ateneo insieme a ChinaEu. Nel comunicato trasmesso anche all’Ansa, Scotti esprimeva l’auspicio che, almeno nel campo dei progetti sulla smart city, si trovi “il modo per avere uno scambio di informazioni, una cooperazione industriale e in campo di ricerca”.
Qualche giorno prima, intervenendo su Formiche.net, il presidente Scotti aveva affermato che “per l’Italia e per l’Europa l’obiettivo di un dialogo e di una cooperazione con la Cina deve restare obiettivo da perseguire”, sottolineando anche – con un buffetto agli Usa di Trump – che “non possiamo affidarci alla opzione di uno scontro”, che sarebbe “fatale”.
Pochi giorni più tardi, mentre in Italia infuriava il dibattito sull’arrivo a Roma di Xi Jinping e sulla contestata firma del memorandum d’intesa sulla nuova via della Seta, Scotti avvertiva addirittura la necessità di stigmatizzare – sempre su Formiche.net – l'”acceso ed irrazionale confronto politico sulla portata e sui ‘pericoli” della visita, in Italia, del Presidente della Repubblica Cinese”.
Naturalmente, un indizio o anche due non fanno una prova. Ma la svolta della Link fa senz’altro riflettere. E chissà se l’improvvisa resipiscenza di Scotti influenzerà il pensiero dei suoi due ex docenti – la titolare della Difesa Elisabetta Trenta e la viceministra agli Esteri Elisabetta Del Re – catapultati nei palazzi del potere. Un potere che non ha ancora deciso se Huawei fornirà o meno agli italiani la tecnologia e i servizi della rete mobile di quinta generazione.