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Oriana Fallaci

Hannah Arendt e Oriana Fallaci sull’antisemitismo

Il Bloc Notes di Michele Magno

Nell’epilogo di “Eichman in Jerusalem. A Report on the Banalty of Evil” (1963), Hannah Arendt si rivolge direttamente al funzionario nazista: “Tu ci hai narrato la tua storia, presentandola come quella di un uomo sfortunato […]. Ma anche supponendo che la sfortuna ti abbia trasformato in un involontario strumento dello sterminio, resta sempre il fatto che tu hai eseguito e perciò attivamente sostenuto una politica di sterminio. La politica non è un asilo: in politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa”.

Fino al sedicesimo era frequente la rappresentazione della sinagoga come una donna dagli occhi bendati. La benda alludeva alla cecità degli ebrei, e a quel simbolo veniva contrapposta l’immagine della chiesa, in forma di donna dallo sguardo libero e illuminato dalla grazia di Dio. Più tardi, su questa immagine si trasferì il simbolo umanistico e cristiano di una giustizia imparziale e pubblica.I molti, troppi, che obbediscono ai cattivi maestri e appoggiano l’idea che Israele va cancellato dalla cartina geografica, non hanno capito che oggi proprio la sinagoga incarna -contro di loro- l’immagine della giustizia bendata.

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“Io trovo vergognoso che tanti italiani e tanti europei abbiano scelto come vessillo il signor (si fa così per dire) Arafat. Questa nullità che grazie ai soldi della Famiglia Reale Saudita fa il Mussolini ad perpetuum e che nella sua megalomania crede di passare alla Storia come il George Washington della Palestina. Questo sgrammaticato che quando lo intervisti non riesce nemmeno a compilare una frase completa, un discorso articolato.

Sicché per ricomporre il tutto, scriverlo, pubblicarlo, duri una fatica tremenda e concludi che paragonato a lui perfino Gheddafi diventa Leonardo da Vinci. Questo falso guerriero che va sempre in uniforme come Pinochet, mai che indossi un abito civile, e che tuttavia non ha mai partecipato ad una battaglia. La guerra la fa fare, l’ha sempre fatta fare, agli altri. Cioè ai poveracci che credono in lui. Questo pomposo incapace che recitando la parte del Capo di Stato ha fatto fallire i negoziati di Camp David, la mediazione di Clinton.

No-no-Gerusalemme-la-voglio-tutta-per-me, Questo eterno bugiardo che ha uno sprazzo di sincerità soltanto quando (en privè) nega a Israele il diritto di esistere, e che come dico nel mio libro si smentisce ogni cinque secondi. Fa sempre il doppio gioco, mente perfino se gli chiedi che ora è, sicché di lui non puoi fidarti mai. Mai! Da lui finisci sistematicamente tradito. Questo eterno terrorista che sa fare solo il terrorista (stando al sicuro) e che negli Anni Settanta cioè quando lo intervistai addestrava pure i terroristi della Baader-Meinhof. Con loro, i bambini di dieci anni. Poveri bambini. (Ora li addestra per farne kamikaze. Cento baby-kamikaze sono in cantiere: cento!).

Questa banderuola che la moglie la tiene a Parigi, servita e riverita come una regina, e che il suo popolo lo tiene nella merda. Dalla merda lo toglie soltanto per mandarlo a morire, a uccidere e a morire, come le diciottenni che per meritarsi l’uguaglianza con gli uomini devono imbottirsi d’esplosivo e disintegrarsi con le loro vittime. Eppure tanti italiani lo amano, sì. Proprio come amavano Mussolini. Tanti altri europei, lo stesso”.

(Oriana Fallaci, “Sull’antisemitismo”, Panorama, 18 aprile 2002).

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