La morsa del rigore ha cominciato a creare tensioni anche in Francia, che solo dal 2018 ha cominciato a seguire le regole del Fiscal Compact, dopo essere stata per ben nove anni sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo. Le proteste popolari di quest’ultimo mese hanno assai indebolito la figura del Presidente Emmanuel Macron, che già prima dell’estate aveva subito un forte appannamento di immagine per via del comportamento di un collaboratore incaricato di compiti si sicurezza. Tutto, stavolta, è partito dall’aumento, di appena 5 centesimi al litro, dell’accisa sul carburante diesel: il malessere covava profondo, e questa è stata solo la scintilla.
Si è agglutinata una opposizione sociale molto ampia, che godrebbe di oltre l’80% di consensi: un livello elevatissimo, speculare alla caduta di quelli espressi sia nei confronti del Presidente Emmanuel Macron, di recente sceso al di sotto del 20%, sia verso il governo di Edouard Philippe.
Le forze politiche di opposizione hanno tenuto tutte un atteggiamento assai guardingo, sapendo che non solo nessun leader attuale avrebbe potuto guidare il movimento, ma che anzi sarebbero stati accusati di inerzia e di inefficacia. Si è arrivati al paradosso di avere un movimento ampiamente diffuso tra la popolazione, che sfida apertamente le scelte fiscali del governo, ed una opposizione politica afasica, sbriciolata in una miriade di formazioni, in cui i gaullisti ed i socialisti non rappresentano più l’architrave del sistema.
La reazione dell’esecutivo francese è stata contraddittoria: dopo la iniziale fermezza, si è dapprima annunciata la sospensione per sei mesi di tutti gli aumenti, su carburanti, gas, elettricità e pedaggi autostradali; poi si è annullata la manovra per tutto il 2019. E’ stato invece il Presidente Macron, in un discorso alla Nazione, a fare un passo significativo in avanti, promettendo: un aumento di 100 euro dei salari minimi attraverso la loro defiscalizzazione per il medesimo importo, una misura che copia quella degli “80 euro in busta paga” decisi dal Premier Matteo Renzi nel 2014, e che gli valsero il 40,8% dei suffragi alle elezioni europee; la esenzione dal pagamento dei contributi sociale sulle pensioni fino a 2000 euro; l’esonero da tasse e contributi per i compensi relativi alle ore di lavoro straordinario, analogamente a quanto fu deciso dal nostro ministro del Lavoro Sacconi durante l’ultimo governo Berlusconi; la detassazione completa dei futuri premi di fine esercizio erogati dalle imprese ai dipendenti. Il costo approssimativo, tra gli 8 e gli 11 miliardi di euro, finanziato in deficit, farà superare ampiamente, ancora una volta, il tetto del 3% sul pil. Il Commissario europeo Pierre Moscovici, già ministro delle Finanze a Parigi e che durante questo incarico aveva platealmente contestato la politica del rigore, ha immediatamente assentito alle proposte di Macron: lo sforamento è possibile, in quanto “limitato, temporaneo ed eccezionale”.
(2.continua)
(la prima parte dell’analisi si può leggere qui)