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Meloni, i processoni-minestrone e il tentativo di accerchiamento politico

Come ai tempi di Berlusconi, la sinistra deborda nell'uso politico della giustizia e costruisce un'arma contro il governo Meloni che è un minestrone di inchieste reali. La nota di Paola Sacchi

 

Tentativo di accerchiamento. La tecnica usata nei confronti del governo di Giorgia Meloni dalla sinistra sconfitta nelle urne, e incapace di trovare una bussola politica, sembra la stessa usata nel 1994 nei confronti del governo di Silvio Berlusconi. Con una differenza: la sinistra, ancora più piccola e divisa di allora, deborda nel solito uso politico della giustizia e costruisce un’arma che è un minestrone di inchieste reali, con avvisati di garanzia a mezzo stampa (cosiddetto caso del ministro del Turismo, FdI, Daniela Santanché); con rinviati a giudizio causa eccezionale di contrasto tra Pm e Gip per Andrea Delmastro (FdI), viceministro di Nordio e annessi e connessi, in cui si mescola una denuncia per stupro per La Russa jr, figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa, e viene persino di fatto associato in qualche modo alla vicenda un giornalista, l’editorialista di Libero Quotidiano, Filippo Facci, per un’infelice frase in un corsivo, che ha già detto non riscriverebbe, invitando a leggere l’articolo per intero. Ma per il Pd di Elly Schlein ci dovrebbero essere dimissioni per tutti e niente trasmissione Rai per Facci.

Del resto, il processone-minestrone mediatico-giudiziario è in pieno atto, il mix di cose, che, se viste singolarmente una a una, per dirla alla maniera dello stesso Antonio Di Pietro, poco “ci azzeccano” tra loro, tranne che per l’obiettivo di attaccare a testa bassa, come a prescindere, in ogni caso il governo, è ben servito sui giornaloni, con tanto di pubblicazione di chat sul caso La Russa jr e via mediaticamente processando.

Nulla cambia nel solito, infernale, trentennale sistema, tranne che l’ancora più evidente, disperata debolezza di una sinistra che appare ormai rimasta senza programmi se non quello del processo mediatico-giudiziario. Sullo sfondo le esequie di Stato del Signor Dc, ultimo leader della cosiddetta Prima Repubblica, Arnaldo Forlani, condannato, commenta a margine della cerimonia per il Tg1, il presidente della Fondazione Democrazia Cristiana, eletto alla Camera con FdI, Gianfranco Rotondi, “sulla base del non poteva non sapere”. “Un uomo che affrontò con dignità e fiducia in Dio la tempesta giudiziaria, nel clima devastante di quegli anni”, ammonisce, secco, Monsignor Vincenzo Paglia, nella Basilica dei Santi Pietro e Paolo a Roma.

Sono passati trent’anni da quando Forlani, il Signor Dc, scelse di “autoconsegnarsi al silenzio”, commenta Rotondi. Sono stati trent’anni di capovolgimenti, in cui la destra un tempo più giustizialista è maturata, cambiata, annoverando nel fronte conservatore figure come il ministro Carlo Nordio che tenta di fare una vera riforma della Giustizia, oppure storici Dc come lo stesso Rotondi, Forza Italia, con il presidente in pectore, vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, sul garantismo di cui vanta il primato liberale tiene il punto, e la Lega di Matteo Salvini, vicepremier e ministro delle Infrastrutture, a maggior ragione anche dopo il proscioglimento in Appello del governatore lombardo Attilio Fontana, rivendica il suo referendum con i Radicali sulla riforma della Giustizia e tiene il punto che unisce “garantismo” a “certezza della pena”.

Con i funerali di Stato per Forlani, proclamati dal governo di centrodestra Meloni, un ciclo sembra chiudersi. Chi resta fuori? La sinistra, che appare sempre più minoritaria e alla rincorsa dei Cinque Stelle, ancora una volta. A meno che, in spregio del responso elettorale, non si persegua l’eterno sogno di un governo tecnico, anche in ambienti mediatici apparentemente neutri, che in realtà sembrano soprattutto bacchettare il governo, reo di “complottismo” per la nota di alcuni giorni fa. Come se, ha più volte notato l’opinionista Mediaset, Daniele Capezzone, fosse da Paese normale mettere in conto certe reazioni nella Magistratura ogni volta che un esecutivo tenta di fare una riforma della Giustizia.

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