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Tim Ericsson

Globalizzazione, cyberwar e 5G. Parla Dottori

Conversazione su globalizzazione, cyberwar e 5G con Germano Dottori, consigliere scientifico di Limes.

La globalizzazione economica, sospinta dall’avanzamento tecnologico che a sua volta viene dalla stessa alimentato, sta cambiando radicalmente le carte in tavola e aggiunge nuove dimensioni alla guerra, sottraendola spesso ai militari e ai professionisti delle tecnostrutture propriamente vocate a presidiare le dimensione e la sfera della Difesa: oggi non esiste più un campo di cui la guerra non possa servirsi, e non vi è quasi nessun ambito che non abbia fatto proprio il suo modello offensivo.

L’elenco delle dimensioni investite si estende a dismisura, i conflitti sono diventati: finanziari, commerciali, ecologici, di intelligence, mediatici. Al centro di questo modello “ibrido” c’è la cyberwar che ha – rispetto alle altre – una vera e propria capacità “abilitante”.

Per approfondire questi aspetti abbiamo posto alcune domande a Germano Dottori, uno dei più accreditati analisti strategici del nostro Paese, consigliere scientifico di Limes.

Secondo lei quali sono le principali caratteristiche dei conflitti di nuova generazione?

La guerra è sempre stata un fenomeno camaleontico, in grado di assumere forme e modalità differenti a seconda delle circostanze storiche ed ambientali in cui scoppia. La contemporaneità ci offre una gran quantità di casi diversi. Quando uno Stato (o un altro soggetto politico operante in campo internazionale) si trova nella necessità di perseguire un proprio interesse in competizione con altri, sceglie il mezzo che ritiene più adeguato ai suoi scopi. Lo delegittima, lo sanziona, lo sottopone a embarghi, lo minaccia e poi magari lo bombarda. Sulla decisione relativa al mezzo e al modo incidono molti fattori contingenti, legati alla situazione del luogo e del momento, ma anche elementi di più lunga durata, come la cultura politico-strategica che condiziona i decisori, di cui sono un tratto saliente la loro propensione al rischio e la disponibilità a sacrificare risorse all’obiettivo di accrescere il proprio potere. Esiste un continuum molto ricco di strumenti, nel quale un ruolo di crescente importanza è oggi assunto dai mezzi il cui utilizzo non è riconducibile. Per colpire l’avversario senza dover sopportare il peso delle responsabilità conseguenti. Accade con l’impiego degli strumenti smart d’influenza politica, per esempio quando si subappalti l’esecuzione di una strategia a soggetti terzi, anche inconsapevoli della propria funzione specifica nel disegno di chi li ispira. Succede ora anche con le armi cibernetiche di più recente sviluppo che sono in grado di schermare origine e autore di un attacco.

Come costruire un ecosistema “antifragile” rispetto a queste sfide?

Non esiste un sistema perfetto che non abbia vulnerabilità, purtroppo. Si possono costruire architetture più solide, normalmente lo si fa creando delle ridondanze negli snodi più critici. Ma nulla che sia veramente insuperabile. Inoltre, bisogna sempre considerare che esiste un trade off: per avere un sistema più sicuro, spesso è necessario ridurne flessibilità e capacità. Trovare un equilibrio è difficile, anche perché – mentre la perdita in termini di performance è immediatamente visibile – il contenimento del rischio è meno tangibile.

Quanta consapevolezza c’è nelle opinioni pubbliche della fragilità dei sistemi?

Direi che la consapevolezza complessiva è bassa, anche se l’intelligence nazionale da anni promuove attività di sensibilizzazione degli stakeholder rispetto alla necessità della protezione dagli attacchi veicolati per via cibernetica. Va detto comunque che ha il suo peso anche la fisiologica resistenza delle vittime delle offese non convenzionali di questo tipo a rendere note le proprie esperienze negative.

Rischi e opportunità nella transizione verso il 5G. Che ne pensa?

Il 5G è una tecnologia che espanderà considerevolmente l’universo del possibile, a beneficio di individui e sistemi, pubblici e privati, aziendali e politici. Ne diventeremo tutti dipendenti, molto rapidamente, anche nella gestione della nostra vita quotidiana, a partire dall’ambiente domestico. Le nostre case e il governo della viabilità ne saranno fortemente influenzati, così come la gestione di attività sensibili incluse quelle connesse alla salute personale o all’impiego dei risparmi. Il 5G sarà infatti l’architettura del cosiddetto internet delle cose, o internet of things. Rispetto a questo tipo di evoluzione – al contrario di ciò che si dice – non sarà certo la protezione dei dati la sfida principale. I dati possono essere carpiti in una grandissima quantità di modi già oggi. Persino con applicazioni che scarichiamo sui nostri telefonini per giocare, penso per esempio a quel periodo in cui tanti di noi giocavano a fabbricare immagini “invecchiate” di sé stessi, fornendo a chi gestiva il programma una gran quantità di dati biometrici. Lo stesso accade quando vincoliamo la sicurezza di un telefono al riconoscimento dell’iride. In generale, per carpire o trasferire dati bastano le applicazioni, app che spesso possiamo scaricare direttamente dalla rete senza dover superare particolari controlli. Il vero problema è un altro, del tutto diverso: e ha a che fare con l’identità del gestore del sistema, o meglio della sua infrastruttura. Chi venderà il proprio, infatti, avrà il potere di riprogrammare da remoto o minacciare anche la negazione del servizio. In questo senso, il 5G odierno potrebbe essere l’enabler, ciò che rende possibile la “guerra senza limiti” immaginata in Cina 21 anni fa da Wang Xangsui e Qiao Liang. Quella in cui, all’improvviso e senza preavviso, gli oggetti di uso comune nelle mani della gente si trasformano in armi letali rivolte contro di loro. E l’internet of things è ancora poco. Sono infatti all’orizzonte l’augmented man e il cosiddetto internet of humans, ovvero l’integrazione uomo-macchina anticipata dalla fantascienza, sulla quale già si esercitano le Difese meglio finanziate e più ambiziose del pianeta. Quelle che stanno lavorando alla trasmissione diretta del pensiero tra i soldati del futuro. Acquisterà maggior concretezza lo spettro agitato dal vecchio Henry Kissinger, che già da diversi anni ci ammonisce rispetto al rischio che le macchine finiscano per prendere il sopravvento su di noi. Magari opportunamente aiutate dalla manina di qualche programmatore nemico.

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