skip to Main Content

Mosca

Gli intellettuali italiani folgorati sulla via di Mosca

Il Bloc Notes di Michele Magno

Quattro dei nove libri delle celebri “Storie” di Erodoto sono dedicati, secondo la divisione dei grammatici alessandrini, a quelle “guerre persiane” che per circa un ventennio (499-479 a.C.) videro impegnate le polis greche contro l’impero fondato da Ciro il Grande. Così come sono state interpretate e tramandate dallo storico di Alicarnasso, furono guerre di libertà condotte da un piccolo popolo contro un potente avversario; e che proprio perché si batteva per una grande causa, che era la causa della libertà, è alla fine vittorioso. Non a caso Erodoto stabilisce un rapporto diretto tra la fine della tirannide ad Atene e l’aiuto prestato agli Ioni che stavano per ribellarsi, aiuto che determina l’aggressione degli sterminati eserciti di Dario e di suo figlio Serse.

Ora, non si tratta tanto di giudicare la verità storica di questo racconto, quanto di riflettere sulla forza di un’idea che è indipendente dalla maggiore o minore corrispondenza alla realtà dei fatti. Forse chi ha la mia non più verde età ricorda come gli intellettuali di sinistra, sia della sinistra parlamentare che di quella radicale, celebravano l’eroica lotta dei viet-cong che difendevano la libertà del proprio paese contro un nemico considerato invincibile. Oggi alcuni di loro, e quanti si reputano loro eredi, sono diventati campioni di realpolitik, fino a suggerire agli ucraini massacrati dalle bombe russe di deporre le armi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Saranno pacifisti, ma sono stati folgorati non sulla paolina via di Damasco, ma sulla putiniana via di Mosca.

****

Per chi cerca di ragionare con la testa, e non con il tratto terminale dell’intestino, dovrebbe ormai essere chiaro: l’obiettivo di Putin è quello di rendere invivibile l’Ucraina e di terrorizzare la sua popolazione, fiaccandone la capacità di resistenza e facendo (letteralmente) terra bruciata intorno a Zelensky. Non sembra però che questa realtà scalfisca le certezze dei pacifisti irriducibili, di coloro cioè che vogliono la pace a ogni costo e con ogni mezzo, foss’anche la resa a un sistema politico autoritario che si fa beffe del diritto internazionale. In questo senso, si distingue l’appello per fermare la guerra lanciato da un gruppo di intellettuali di vario orientamento politico e culturale.

Luciano Capone e Adriano Sofri, su queste colonne, hanno documentato le inesattezze, le incongruenze, le omissioni del piano in sei punti per un “negoziato credibile” proposto dai firmatari. Recita un vecchio ritornello napoletano: “Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdámmoce ‘o ppassato…”.Potrebbe tranquillamente essere il suo esergo. Coerentemente, il primo punto del piano allude al mito della “promessa tradita” dalla Nato di non espandersi a Est, in realtà formulata a Gorbaciov dal segretario di Stato James Baker in un incontro informale del 1990.

È la fotocopia di un pilastro polemico del Cremlino nei confronti delle potenze occidentali. È stato usato, infatti, dal presidente russo come pretesto per giustificare l’invasione della Georgia nel 2008 e della Crimea nel 2014, nonché quella in corso nel Donbass. Solo che Putin, e con lui quanti anche in Italia condividono l’argomento della “broken promise”, dimenticano che nel Memorandum di Budapest del 1994 (sottoscritto con Usa e Regno Unito) Mosca si impegnò a rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina, nonché ad astenersi dall’uso della forza nei suoi confronti in virtù del trasferimento del suo arsenale nucleare in Russia. Piaccia o meno il principio “pacta sunt servanda”, quindi, non si può negare il peso diverso che hanno un accordo formale e un accordo verbale tra le grandi potenze. Lo si può negare soltanto se si equivoca un paradossale aforisma di Leo Longanesi: “Non bisogna appoggiarsi troppo ai princìpi, perché poi si piegano”.

 

(Il Foglio, 19 ottobre 2022)

Back To Top