Caro direttore,
vedo che séguiti a dedicare non poco spazio alla triste condizione in cui versa il sistema dei media, e innegabilmente l’argomento si presta. Mi permetto però di raccomandarti un minimo di carità cristiana: almeno in Italia temo che la situazione delle testate più prestigiose non sia più preoccupante, ma disperata.
Mi riferisco non solo al quadro che emerge dalle approfondite analisi di autorevoli firme di Starmag, da cui scaturisce un’immagine sconfortante, ma penso al tuo un po’ sprezzante (“ohibò, poffarbacco”) commento sull’“inchiesta” del Sole24Ore dal titolo Da Meloni a Bolloré, la libertà di stampa (a rischio) in Europa, titolo sovrastato da un disegnino dove la scritta “press freedom” è incorniciata nientemeno che da filo spinato.
Non che il commento non sia largamente meritato, ma resto convinto che anche i tuoi colleghi del quotidiano della Confindustria siano quanto meno persone di media intelligenza e che, quindi, la scelta diciamo così editoriale si spieghi solo con la disperazione: una titolazione più patetica che aggressiva ma soprattutto una compagnia imbarazzante. L’“inchiesta” dei tuoi colleghi non è firmata solo dal Sole24Ore ma anche da El Confidencial (Spagna) e da Vox Europe (Francia). Se trovi il tempo di farti un giro su Google capirai perché la definisco una compagnia imbarazzante: c’è stato un tempo nel quale i grandi quotidiani italiani firmavano iniziative comuni con Le Monde e la Frankfurter Allgemeine Zeitung.
La disperazione è ampiamente giustificata e provo a spiegarmi con un esempio, un veloce sguardo al Corriere della Sera di domenica scorsa. In prima pagina trovi lo strillo di un manuale “domani gratis con il Corriere e sull’App”. Di fianco un messaggio di Mattarella compitato per celebrare debitamente l’undicesima edizione del festival del “Tempo delle donne”, uno dei tanti inserti del quotidiano che l’infaticabile Urbano Cairo trasforma in occasioni di marketing e networking guadagnandosi anche i ringraziamenti del presidente della Repubblica per “l’ormai tradizionale” appuntamento. In basso, sempre in prima pagina, un altro strillo che rimanda a una pagina di intervista di Aldo Cazzullo a Giovanni Floris, argomento in sostanza la promozione dell’autunnale ripresa del talk show DiMartedì su La 7 del buon Cairo, nella forma Meloni, Renzi e le prospettive a breve della politica italiana.
Una volta la domenica il Corriere pubblicava in prima pagina sotto il titolo “Padiglione Italia” colti e sottilmente ironici corsivi di Aldo Grasso su argomenti di varia umanità. Ieri c’erano gravi e preoccupate considerazioni sull’ultima “legge sbagliata” di Giorgia Meloni in materia di carceri, sempre a firma di Grasso che si sta trasformando da raffinato intellettuale in analista politico e sociologo del diritto.
In queste condizioni, con il famoso divieto della pubblicità occulta, a suo tempo cavalcato senza remore da Giuliano Amato, di fatto abrogato, che cosa rimane ai giornalisti se non buttarla in politica? Anche perché l’orientamento della subalterna “élite” italiana offre un bersaglio particolarmente facile, la destra di governo che anche la burocrazia di Bruxelles vede come il fumo negli occhi, quella stessa burocrazia che distribuisce fondi ingenti a tutti i sistemi che hanno a che fare con l’opinione pubblica, comprese le università.
Senza nessuna ironia, penso che pochi mestieri oggi siano così ingrati come quello dei tuoi colleghi, soprattutto di quelli delle grandi testate: si vede a occhio nudo che non si divertono proprio per niente.