Altro che “l’isola dei famosi” dove Michele Santoro nel salotto televisivo di Giovanni Floris, a La7, l’ha collocata per avere annichilito il governatore della Campania Vincenzo De Luca, che le aveva dato della “stronza” e “stracciarola”. Giorgia Meloni era a Caivano, una località degradata della Campania restituita alla legalità, dove “si riparte”, ha titolato non Il Secolo d’Italia ma Avvenire, il giornale dei vescovi.
D’altronde, sulla stessa rete televisiva, nella trasmissione precedente a quella di Floris, un giornalista come Antonio Padellaro, ex direttore dell’Unità e tra i fondatori del Fatto Quotidiano, aveva riconosciuto alla premier italiana di averlo divertito per avere saputo mettere al suo posto quel villanzone del governatore campano. Molto meglio, credo, del comico Maurizio Crozza che imita Vincenzo De Luca da anni.
Quella “stronza della Meloni”, come si è autopresentata la premier a De Luca chiedendogli “come sta?”, si è confermata una politica capace come pochi altri di mettersi in sintonia con la gente comune. Persino con gli avversari: almeno quelli provvisti ancora di una capacità di ridere, e non solo di indignarsi a prescindere, per partito preso, vedendo nella Meloni “la ducia” o la “ducetta”. O solo una “post-missina”, ha detto qualche giorno fa Pier Luigi Bersani. Che può ben essere chiamato e considerato “post-comunista”, abituato a considerare “una ditta” il Pci e tutti i partiti succedutigli dopo il crollo del comunismo. Di uno dei quali – il Pd oggi guidato da Elly Schlein – egli è stato anche segretario, propostosi nel 2013 – anche a costo di farsi togliere l’incarico di presidente del Consiglio da Giorgio Napolitano, pure lui post-comunista – di fare un governo “di minoranza e di combattimento” dipendente dall’orgoglioso e urlante vaffanculista – scusate la parolaccia – Beppe Grillo, uscito dalle urne come sostanziale vincitore delle elezioni politiche, ma non abbastanza per rivendicare Palazzo Chigi. Come gli riuscì cinque anni dopo mandandovi Giuseppe Conte e diventandone alla fine consulente a contratto per la comunicazione.
Qui di grandi comunicatori ne vedo personalmente solo o soprattutto due: la Meloni sul piano nazionale e Papa Francesco sul piano universale, appena tradito dai suoi vescovi italiani dopo un incontro con loro a porte chiuse per quella protesta scappatagli contro la “troppa frociaggine” nei seminari. Cosa della quale egli si è pubblicamente scusato senza tuttavia smentirla.
Se la campagna elettorale ha potuto o saputo fare emergere un po’ di franchezza, non c’è da rammaricarsi, ma da compiacersi, qualunque risulterà il risultato del conteggio dei voti ai vari livelli nei quali essi saranno espressi, fra europee e amministrative. Buon proseguimento. O allegria, come esortava Mike Bongiorno, di cui abbiamo appena celebrato il centenario della nascita che lui non ha potuto godersi essendo morto una quindicina d’anni fa.