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I bastoni europei nelle ruote di Giorgia Meloni

Gli avversari di Meloni temono la possibilità che la premier riesca a conquistare dall’interno persino l’Unione europea. I Graffi di Damato

Protetto dal suo stesso cognome dal rischio di essere cassato, a 87 anni pur non ancora compiuti il povero Sabino Cassese non ha potuto evitare il sarcasmo per l’abitudine che ha preso di non partecipare alla demonizzazione di Giorgia Meloni. Che tutto ormai inseguirebbe e travolgerebbe, anche fuori dalla sua fortezza di Palazzo Chigi: persino nel Quirinale del sobrio e forse troppo paziente Sergio Mattarella, che l’ha aiutata a sentirsi a casa anche sul colle più alto nel settantasettesimo compleanno della Repubblica. All’ottantatreesimo, nel 2029, le potrebbe addirittura capitare di essere lei la presidente, avendo nel frattempo superato la soglia minima dei 50 anni prescritta dalla Costituzione.

COSA PENSA CASSESE SU MELONI E CORTE DEI CONTI

Alle imprudenze, chiamiamole così, già commesse non vedendo necessariamente del male in tutto ciò che fa, dice e spera la prima premier italiana, per giunta di destra, anzi considerando “benedette” tutte le sorprese che la Meloni sta riservando come atlantista ed europeista, Cassese ha voluto aggiungere anche quella di non correre alla Corte dei Conti per difenderne sede e inquilini da quella specie di assalto compiuto dal governo per ritorsione contro giudizi e previsioni critiche sul modo in cui esso sta gestendo il piano di ripresa e di resilienza.

A quel punto il pur emerito professore, ministro, giudice costituzionale è diventato sul Fatto Quotidiano -e dove sennò? – il “badante giuridico adottato” dalla Meloni, una macchietta logorroica meritevole di “almeno tre” dei famosi aforismi di Leo Longanesi elencati in quest’ordine: “Non capisce nulla, ma con grande autorità e competenza. Non bisogna appoggiarsi troppo ai principi perché poi si piegano. La nostra bandiera nazionale dovrebbe recare una grande scritta: ho famiglia”.

A quest’ultimo proposito, non a caso la famiglia più o meno allargata della Meloni è già caduta sotto inchieste giornalistiche che qualcuno probabilmente spera si possano tradurre prima o poi anche in inchieste giudiziarie. Stupisce anzi, con tutto ciò che stiamo vivendo da più di trent’anni a cavallo tra cronaca politica e giudiziaria, appunto, che non vi siamo già arrivati nel caso della presidente del Consiglio, della madre, della sorella, delle sorellastre, del cognato, degli amici o soci di un padre poco o per niente raccomandabile, perduto già prima, molto prima della morte fisica.

MELONI CONQUISTERÀ L’EUROPA?

Ciò che gli avversari della Meloni – senza il minimo rimorso di non averla sentita arrivare, come dice Elly Schlein di se stessa dopo avere conquistato il Pd e averlo portato ai primi bagni elettorali – avvertono ora con una ossessione anche maggiore di quella mostrata nello scorso autunno, per la coincidenza fra il suo arrivo a Palazzo Chigi e il primo centenario della marcia fascista su Roma, è la possibilità che la premier riesca a conquistare dall’interno persino l’Unione europea. E farne, con una nuova maggioranza nel Parlamento di Strasburgo che sarà eletto l’anno prossimo, quello che l’ex direttore dell’Espresso Carlo Damilano ha definito “un saloon” su Domani, il giornale che Carlo De Benedetti si è regalato per consolarsi della Repubblica perduta dai figli prima ancora di venderla.

UN CENTRODESTRA EUROPEO

Un centrodestra anche in Europa appena auspicato pure da Silvio Berlusconi, con i conservatori orgogliosamente guidati a livello continentale proprio dalla Meloni al posto dei socialisti nell’alleanza coi popolari della ex cancelliera Angela Merkel e di alcuni dei suoi illustri predecessori, da Adenauer a Kool, sarebbe “dominato dai rapporti di forza”. Come se ciò non fosse già accaduto sino ad ora, con la forza appunto ottenuta dai vari partiti nelle competizioni elettorali nelle quasi si sono misurate. Uno strano saloon, a dir poco.

Ciò che sgomenta di questi e analoghi ragionamenti o rappresentazioni è pure la pretesa di addebitare la colpa, la responsabilità maggiore, chiamatela come volete, di un centrodestra anche in Europa alla destra -l’odiata destra- e non anche al centro benedetto e santificato se alleato con la sinistra. È come se in Italia all’epoca in cui maturarono le condizioni della nascita del centro-sinistra, prima col trattino e poi senza, i liberali di Giovanni Malagodi che ne fecero le spese se la fossero presa non con i democristiani, ai quali il Pli nel 1963 riuscì a sottrarre un bel po’ di voti proprio in vista di quella svolta, ma con i socialisti di Pietro Nenni. Che avevano fatto alla luce del sole il loro gioco politico liberandosi dell’asfissiante abbraccio con i comunisti tradottosi nel fronte popolare sconfitto nel 1948. E quel gioco il Psi riuscì poi a portarlo avanti con tale coerenza e coraggio di Bettino Craxi da allargare il centrosinistra agli stessi liberali nella formula del famoso pentapartito.

Quella si chiamava ed era democrazia, della quale evidentemente si sono perdute le tracce dopo la caduta della cosiddetta prima Repubblica per scomparsa non delle ideologie, come ci siamo abituati a ripetere da pappagalli, ma semplicemente, o banalmente del buon senso di manzoniana memoria, ricordato in questi giorni di celebrazione dei 150 anni dalla morte del più genuinamente italiano dei nostri scrittori.

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