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Giorgetti

Le mosse di Meloni prima di andare a Palazzo Chigi

Giorgia Meloni vista dai giornali. I Graffi di Damato

 

Quel rosso distribuito fra le labbra e l’abito scelto per l’occasione, per un messaggio augurale ai “patrioti” spagnoli della formazione franchista Vox, ma indirettamente anche ad altre formazioni affini al partito conservatore europeo che lei presiede orgogliosamente, non è naturalmente bastato a Giorgia Meloni per non insospettire, allarmare e quant’altro un giornale come la Repubblica. Né le è valsa a questo riguardo la concessione fatta, anzi vantata, trovandosi non in una piazza ma in un ufficio davanti ad una telecamera, di parlare “a voce bassa”, o comunque senza gridare come in precedenti occasioni comiziali in terra spagnola che le hanno procurato impietose diagnosi politiche di fascismo, post-fascismo e simili.

Quell’abbraccio o “riabbraccio” della Meloni alla Vox spagnola di Santiago Abascal è apparso di per sé al giornale fondato dal compianto Eugenio Scalfari una scelta preoccupante per chi, vinte le elezioni del 25 settembre, trascorre i suoi giorni in Italia aspettando l’insediamento delle Camere, giovedì prossimo, le consultazioni al Quirinale e il conferimento dell’incarico di presidente del Consiglio – prima donna peraltro nella storia d’Italia – da parte di un capo dello Stato già insorto a sua difesa contro la “vigilanza” reclamata da una ministra francese, messa in riga tuttavia anche a Parigi dal suo superiore Emmanuel Macron.

Alla Stampa, tuttavia, dello stesso gruppo editoriale di Repubblica ma più vicina non foss’altro fisicamente alla “proprietà”, quel tocco di rosso adottato dalla Meloni qualcosa ha prodotto. Un politologo della notorietà e qualità di Giovanni Orsina si è chiesto, nello stesso titolo del commento, anch’esso in prima pagina, “se Giorgia sposta gli equilibri” nell’Unione Europea, riconoscendo alla candidata a Palazzo Chigi una “strategia europea” che “comincia a delinearsi con una certa chiarezza”.

Il professore Orsina si è spinto anche oltre il Foglio, dove il direttore Claudio Cerasa ha scritto – fra titolo, sommario e testo di un commento improvvisato per il numero preconfezionato del lunedì – che “il futuro governo” Meloni “dovrà scegliere come tutelare l’interesse nazionale: con il nazionalismo o costruendo nuove alleanze”. Appunto, che cosa sceglierà? Cerasa si è risposto da solo scrivendo: “Se Meloni sarà coerente con se stessa, sarà un dramma. Se no, potrebbe diventare un modello su cui scommettere”. Bel furbo, il Cerasa dell’ancor più furbo Giuliano Ferrara, che diffida di quelli che lui chiama ogni tanto “i paracarri”.

Qualcosa comunque ha cominciato a muoversi a favore della giovane leader dei fratelli d’Italia riuscita a far vincere il centrodestra terremotandone i vecchi rapporti di forza. Lo stesso Silvio Berlusconi, che ripete un giorno sì e l’altro pure la litania ormai del ruolo di garanzia suo personale e di quel che è rimasto di Forza Italia nelle urne e in Parlamento, si è sciolto oggi. Nell’ennesima intervista al direttore del Giornale di famiglia, Augusto Minzolini, egli è tornato praticamente a dare del tu alla Meloni e a chiamarla col nome, e non con quella gelante “signora”. “Giorgia – ha detto il Cavaliere, come per affrancarla dopo l’ultimo incontro avuto con lei ad Arcore e in vista del prossimo a Roma – non ha bisogno dei miei consigli. Ha la determinazione e la lucidità necessarie per guidare il Paese in un momento così difficile”.

Ne sarà rimasto soddisfatto il fedele di nome e di fatto Confalonieri, che già prima delle elezioni si era esposto in una intervista sollecitando l’amico di una vita, Silvio, a sponsorizzare la scalata della sua ex ministra della Gioventù a Palazzo Chigi.

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