skip to Main Content

Giorgetti

Gioie e dolori dell’Italia fra calcio e politica

I subbugli politici sul ddl Zan visti da Francesco Damato

 

A parte la politica, almeno quella intesa come rapporti fra i partiti e al loro interno, dove generalmente regnano più la confusione e la rissa che la chiarezza e la tranquillità, e nonostante i perduranti rischi da pandemia diffusi un po’ in tutto il mondo, questo non è francamente un brutto momento per l’Italia. La cui squadra nazionale di calcio è arrivata alla finale dei campionati europei fra il giustificato entusiasmo dei tifosi che hanno buoni motivi per sperare anche nella conquista del titolo. E in economia due competenti come il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il ministro Daniele Franco, che accorpa nel suo dicastero quelli che una volta erano il Tesoro, le Finanze e il Bilancio, hanno annunciato che “la crescita accelera”, testualmente.

Eppure, dicevo accennando alla politica, c’è chi vuole soffrire e incitare il prossimo alla sofferenza, al pessimismo, allo sconforto e quant’altro. Quelli del Fatto Quotidiano, per esempio, hanno metaforicamente infilato al presidente del Consiglio Mario Draghi, di cui non hanno ancora digerito l’arrivo a Palazzo Chigi al posto del rimpianto Giuseppe Conte, “la maglia nera” della tanto decantata e attesa “transizione ecologica”, perché vi è destinato “solo il 37,5 per cento” dei fondi del piano della ripresa. Che si fa adesso? Si sfiducia subito il governo e si richiama in tutta fretta l’ex presidente del Consiglio? Cui nel frattempo, senza neppure aspettare lo sblocco dei licenziamenti, Beppe Grillo ha cercato di sottrarre anche la prenotazione della leadership del MoVimento 5 Stelle offertagli nello scorso mese di febbraio, prima di scoprirne inadeguatezze, incompetenze e quant’altro. O si aspetta prudentemente il mese prossimo, quando il presidente della Repubblica sarà disarmato nella gestione di una crisi non essendogli permesso dalla Costituzione di sciogliere le Camere nell’ultimo semestre del suo mandato, che si chiama perciò “bianco”? Mah. Intanto sotto le cinque stelle sette saggi –sembra ma non è il titolo di una commedia- cercano più o meno affannosamente e sinceramente di recuperare i rapporti tra il fondatore e l’aspirante rifondatore, fra il garante e il non più garantito, fra l’elevato e l’inabissato.

Nel secondo partito della maggioranza di governo, che secondo sondaggi altalenanti sarebbe ogni tanto il Pd guidato dall’ex esule Enrico Letta, si vivono momenti da brivido, in attesa non della finale europea di calcio di domenica ma dell’approdo nell’aula del Senato, martedì prossimo, di un disegno di legge su cui lo stesso Letta ha voluto scommettere tutto quello che possiede, o quasi. E’ quello, proposto dal collega di partito Alessandro Zan e già approvato dalla Camera, che in nome dell’apprezzabile contrasto all’omotransfobia si propone la santificazione della cosiddetta cultura del gender, secondo cui più del genere biologico conta quello che ognuno si sente addosso e avrebbe il diritto non di coltivare ma anche di propagandare. E se due politici come Matteo Renzi e Matteo Salvini, peraltro oggi partecipi della stessa maggioranza di governo, non sono convinti e propongono insieme al Senato una modifica alla legge che la salvi dal rischio di essere bocciata a scrutinio segreto, vanno liquidati come “degenerati”. Lo ha fatto scherzando, ma non troppo, il manifesto col suo titolo di prima pagina. Degenerato significa per il dizionario della lingua italiana, neppure esso in linea forse con la cultura del gender, “Pervertito, depravato, immorale”. Da sputargli in faccia, insomma.

Back To Top