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Gilda

Gilda al passo con i tempi in Svizzera

Il corsivo di Teo Dalavecuras

 

Nella Svizzera tedesca si chiama Zunft, in quella francese Guilde, è la corporazione di arti e mestieri, in italiano detta anche gilda. Comunità religiose nell’Alto medioevo, all’origine di università, quindi corporazioni: un elemento centrale, ancorché profondamente mutato nel corso dei secoli, della storia dell’Occidente medioevale.

Cancellate, almeno nelle intenzioni, dai rivoluzionari del 1789 sono sopravvissute, nel nome, fino a oggi in alcune parti della Svizzera anche se, ovviamente, hanno perso ogni carattere di organismi di “autodifesa” di categorie di artigiani e mercanti. Sono una sorta di club fortemente selettivi e come tali elementi costitutivi, con altre formazioni pubbliche ma non statali, della trama che dà (quanto ancora a lungo, difficile dire) coesione alla società elvetica. Conservano i nomi antichi, dalla gilda dello zafferano a quella dei vignaiuoli, dei fornai e così via, sino agli “accademici”. Riflettono nel linguaggio e nelle usanze un’impronta maschile, ciò che onestamente non può sorprendere se si considera che sono sopravvissute sino a oggi, senza soluzione di continuità, dal Medioevo.

Di questi tempi però, niente di ciò che comunque comporta distinzioni o – come si preferisce dire  – “discriminazioni” fondate su genere può pretendere di passarla liscia solo in nome della propria storia; del resto, la capacità di adattarsi, senza fretta, ai cambiamenti, è uno dei segreti della longevità di queste peculiari istituzioni.

L’organo esecutivo della “comunità borghese” di Basilea ha appena annunciato una riforma del regolamento di organizzazione degli Zünfte della città renana, destinato a entrare in vigore dal 2022 che – questa è almeno l’opinione del ginevrino Le Temps, sempre all’avanguardia sul fronte del politicamente corretto – potrebbe “scuotere” una “millenaria tradizione sessista”. Benché consista solo in un piccolo cambiamento lessicale, nota Le Temps: si tratta di sostituire all’appellativo “fratelli” degli aderenti alla gilda il neutro “membri”. Ma sembra che per ottenere questo risultato ci siano voluti tre anni di dibattiti infervorati, sostenuti da pareri giuridici di autorevoli costituzionalisti, perché la posta in gioco non era altro che quella di far trionfare anche in queste “roccaforti maschili” il principio della parità uomo-donna. Se Le Temps spreca gli aggettivi per dare enfasi alla portata dirompente della riforma annunciata (l’onda d’urto di questo “terremoto” non risparmierà nemmeno le 26 Zünfte di Zurigo), Beatrice Isler, politica basilese e uno dei rari membri femminili di una corporazione osserva pacatamente che non è necessario “forzare il cambiamento: la vecchia guardia uscirà di scena e le cose cambieranno naturalmente”.

In effetti non sembra che quello della parità uomo-donna rappresenti un problema nella Confederazione Elvetica, tanto meno un’urgenza. E se lo è ancora, non è certo per la rarità delle presenze femminili o per il lessico di questi circoli elitari che regalano prestigio ai loro membri e pescano in ceti dove la parità è largamente acquisita. Per “riforme” come quella di cui si sta parlando il tema della parità sembra piuttosto un pretesto per combattere con una parola d’ordine oggi familiare qualsiasi tradizione e, in buona sostanza ogni memoria collettiva.

Per una curiosa coincidenza, lo stesso giorno in cui Le Temps celebrava questa ulteriore tappa dell’emancipazione femminile la Neue Zürcher Zeitung pubblicava un approfondito réportage sull’islamismo nelle scuole di Zurigo, nel quale si leggono frasi come queste: “I problemi si pongono soprattutto nei casi di adolescenti provenienti da famiglie musulmane di modesto livello culturale. Le insegnanti devono sin dall’inizio marcare il rapporto di forza e la loro posizione gerarchica per essere prese sul serio, ciò che per le più giovani è spesso difficile. Una volta, riferisce una intervistata, uno scolaro musulmano ha detto alla mia collega: «Io dalle donne non mi lascio comandare». Un’eccezione, però, succede”. Ma su questi aspetti del fondamentalismo islamico, che considerano la parità uomo-donna una bestemmia, nel discorso pubblico, e anche nei libri di scuola, si preferisce  sorvolare, come la NZZ documenta. Come dire che anche nelle lotte contro il “sessismo”, si preferisce sfondare le porte aperte: purché appaia l’esito di un’epica lotta.

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