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Il bipolarismo tedesco è tutto geopolitico: filo-americani contro filo-russi. L’analisi di Galietti

In Germania gli estremismi di destra e di sinistra hanno posizioni a volte sovrapponibili: nascerà una coalizione rosso-bruna contro le larghe intese di centro? Conversazione di Start Magazine con Francesco Galietti, analista politico e fondatore di Policy Sonar.

 

Cosa succede in Germania? Gli estremismi di destra e di sinistra, uniti dall’infatuazione per la Russia, si coalizzeranno contro la Grande coalizione di ispirazione merkeliana?

Startmag ne ha discusso con Francesco Galietti, esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar.

Quali sono le principali tendenze politiche in Germania?

Sulla scena politica tedesca si vanno consolidando due opposte tendenze. Per un verso, si intensifica il ‘tifo’ per richiamare in vita la GroKo, la Grande Coalizione di merkeliana memoria che riuniva sotto il medesimo ombrello socialdemocratici e democristiani (e, all’occorrenza, i liberali). Il governatore bavarese Soeder, tra i più energici nello spingere questa soluzione, si è scagliato contro i Verdi, chiedendo espressamente di sostituirli con CDU e CSU e quindi di ripristinare ‘in purezza’ lo schema di GroKo che teneva banco durante gli anni di Merkel al potere.

Ci riuscirà?

Non è detto tuttavia che questo ripristino sia possibile, perlomeno nelle forme in cui sembra immaginarlo Soeder. È vero, certo, che i democristiani si sono ripresi bene dalla disfatta alle ultime elezioni politiche. Ed è altrettanto vero che la CDU e la CSU si stanno dimostrando molto più capaci di arginare la marea montante dell’AfD di quanto non siano i social-democratici. Per il verso opposto, nella Germania di oggi tocca fare i conti con un’altra linea di tendenza.

Quale?

Si tratta del consolidamento di un blocco rosso-bruno, in cui massimalismo di destra e di sinistra si confondono e fanno fortuna sulle rovine del modello industriale tedesco e sulle difficoltà nell’integrare efficientemente i flussi migratori. Uno degli elementi più vistosi delle agende politiche tanto dell’AfD quanto di Sahra Wagenknecht di Die Linke è l’eurasismo, vale a dire l’occhio perennemente strizzato a Mosca e Pechino, e l’ostilità verso il mondo ‘anglo’. Con questa premessa geopolitica, di qui a non molto potrebbe riproporsi l’esigenza di una vera e propria conventio ad excludendum, in cui cioè le forze moderate, diverse nelle loro priorità ma unite dalla comune matrice atlantista, governano assieme, mentre i russofili sono relegati all’opposizione.

È davvero un’opzione possibile?

Si tratterebbe di una saracinesca calata drasticamente, ma AfD e la sinistra radicale della Wagenknecht hanno ben poco a che spartire con la Ostpolitik di Willy Brandt, mentre esasperano un vecchio complesso della Germania soprattutto nei confronti di Mosca. Helene von Bismarck, giovane storica tedesca dal cognome importante e basata nel Regno Unito, ha preso di petto la questione in un lungo articolo pubblicato sul Guardian [Why did it take a murderous war on Ukrain for Germany to wake up to the threat from Russia?, 21 giugno 2023].

Che cosa sostiene?

Il primo mito da sfatare secondo la Bismarck è quello del senso di colpa tedesco per le vittime sovietiche della Seconda Guerra Mondiale. Il numero dei morti sovietici mietuto dai tedeschi è senz’altro impressionante: 25 milioni di individui. Ma è singolare che i morti sovietici siano identificati unicamente con i russi, che invece ne rappresentano un sottoinsieme. Che dire, allora, degli 8 milioni di vittime ucraine e degli indicibili orrori compiuti dai tedeschi contro le comunità ebraiche radicati in quei territori? Un altro importante elemento rimosso con eccessiva disinvoltura dal dibattito tedesco contemporaneo è rappresentato dall’alleanza nazi-sovietica del 1939-1941, cioè il patto Molotov-von Ribbentrop che sancì la reciproca non-aggressione e definì la spartizione dell’Europa centro-orientale. Ovviamente, proprio in queste zone non è svanito il ricordo di quel patto. Questo vale, in particolare, per la Polonia e i Baltici, la cui prospettiva storica è però stata ripetutamente ignorata da Berlino. Non stupisce, quindi, che il principale punto di riferimento di Polonia, Baltico e Scandinavia sia Londra, e non certo da oggi.

E la Ostpolitik, allora, da dove arriva?

La Ostpolitik di Willy Brandt, cancelliere della Germania Ovest durante la Guerra Fredda, risale al periodo tra la fine degli anni 60 e il principio degli anni 70 del secolo scorso. Brandt la considerava uno strumento per stabilizzare i rapporti con l’Europa dell’Est tramite il dialogo con l’Unione Sovietica. Brandt era genuinamente convinto che ciò avrebbe portato a una distensione complessiva dei rapporti Est-Ovest, e che nel tempo avrebbe trasformato ‘da dentro’ la stessa Unione Sovietica. Per questa stessa ragione, la Ostpolitik di Brandt contemplava espressamente il commercio con Mosca.

Ma Brandt non era solo un politico pragmatico. L’episodio in cui si inginocchiò nel 1970 al memoriale perla rivolta del ghetto di Praga fu un gesto simbolico senza precedenti sulla scena politica tedesca. Brandt peraltro non dialogava con Mosca da una posizione di debolezza, e durante il suo mandato la spesa militare della Germania Ovest si attestava al 3% del PIL, cioè a un livello decisamente più alto di quello indicato nel primo piano di sicurezza nazionale rilasciato dalla Bundesrepublik Deutschland lo scorso 14 giugno. Altri tempi.

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