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Berlino

Tutti gli squilibri della Germania Est trent’anni dopo la riunificazione

Anche 30 anni dopo la riunificazione, la (ex) Germania Est è chiaramente in ritardo dal punto di vista economico rispetto all'Ovest. L'analisi di Pierluigi Mennitti di Eastsidereport.info

 

A trent’anni dalla riunificazione tedesca ci penserà un nuovo centro di studi e ricerche a elaborare strategie economiche e sociali per accompagnare lo sviluppo delle regioni orientali tedesche. Si chiamerà con una certa enfasi Zukunftszentrum für europäische Transformation und Deutsche Einheit, Centro futuro per la trasformazione europea e l’unità tedesca, e potrebbe avere la sua sede a Francoforte sull’Oder, città al confine con la Polonia che già ospita l’Università Viadrina, accademia impegnata nelle politiche di integrazione europea con lo sguardo rivolto a Est. È una delle proposte fatte proprie dal governo e presentate dall’incaricato per il processo di unità tedesca

Marco Wanderwitz, che mercoledì 7 luglio ha presentato l’annuale rapporto sullo stato della riunificazione. L’anniversario tondo di quest’anno porta dunque in dote un centro studi, segno che la questione resta aperta anche trent’anni dopo.

I numeri presentati da Wanderwitz si condensano infatti in una frase: anche 30 anni dopo la riunificazione, le regioni orientali sono chiaramente in ritardo dal punto di vista economico rispetto a quelle occidentali. L’eredità del quarantennio comunista e le difficoltà della transizione pesano in maniera decisiva ancora oggi, nonostante gli sforzi finanziari profusi. In realtà, a ricordare il punto di partenza dei Länder che facevano parte della DDR e a guardare le cifre più da vicino, il risultato potrebbe fare gola a tante aree arretrate d’Europa. Le regioni orientali hanno oggi raggiunto il 77,9% del livello economico dei vecchi Länder occidentali, e questo dopo un decennio e passa di forte crescita economica dell’intero Paese, naturalmente trainato dall’Ovest. Dal conto viene espunta per difficoltà di calcolo la città di Berlino, la cui metà orientale era comunque la capitale della DDR: se la città fosse inclusa nel conteggio la percentuale raggiungerebbe l’82,8, ma in questo caso verrebbe calcolata anche la sua metà ex occidentale.

A risollevare il pessimismo con cui ormai negli ultimi anni vengono accolti questi dati, anche la conferma della tendenza in atto da trent’anni: la distanza tra le due metà della Germania continua a ridursi, anche se i tempi sono più lenti di quelli previsti. Alla base del pessimismo c’è anche una chiave di lettura che continua a distorcere la percezione: se alcune specifiche aree dell’Est erano state in passato benestanti, storicamente l’Ovest della Germania è sempre stato più ricco dell’Est. La competizione fra due sistemi politici-economici ai tempi della Guerra Fredda ha accentuato le disuguaglianze, ma la supremazia economica delle regioni occidentali è una condizione preesistente alla divisione dopo la seconda guerra mondiale. Così come il fatto che alcuni centri dell’Est – Lipsia, Dresda, Potsdam – abbiano condizioni migliori di molte aree dell’Ovest.

Molti analisti dubitano infatti che i Länder orientali possano mai raggiungere il livello economico di quelli occidentali, dal momento che non era accaduto neppure in passato. L’obiettivo è irrealistico, una pure definizione politica che poco ha a che fare con la realtà economica, di oggi come di ieri.

Meglio dunque concentrarsi sui processi in corso all’interno dell’economia orientale, dove si accentuano le differenziazioni. Berlino assume sempre di più il suo ruolo di leadership, metropoli in grado di attirare investimenti e capitale umano e di fungere da motore per l’area circostante: non solo per il Brandeburgo direttamente confinante, ma anche per quei pezzi di altri Länder capaci di allacciarsi al suo ecosistema economico e sociale.

Per la capitale la rincorsa è finita: negli ultimi cinque anni il suo Pil ha raggiunto il 100% della media dell’intera Germania. Restano lontani (e forse irraggiungibili) i tempi pre bellici della supremazia nazionale, quando tutte le più grandi industrie del Paese avevano lì la loro sede, ma la sua forza magnetica è tornata, internazionalmente è considerata il vero centro dell’Europa, sturtup e centri di servizi (anche di innovazione) sorgono ovunque negli ultimi spazi urbani disponibili.

Per il resto, brillano come sempre i centri di Dresda, Lispia e Potsdam (quest’ultima grazie anche alla sua simbiosi con Berlino), mentre nel resto dei Länder permangono i fattori di freno già noti: poche aziende innovative indigene, squilibri demografici (in parte ereditati dalla forte emigrazione degli anni Novanta, in parte dal processo di invecchiamento e dalla scarsa attrattività nei confronti di giovani stranieri)

A pesare più del fattore economico è quello politico. È qui che la differenza fra le due metà della Germania è più evidente: nei nuovi Länder scetticismo, distanza e critica verso la politica sono talmente più diffuse che i comportamenti elettorali tendono a premiare le forse antisistema. È un dato permanente, se si escludono i primissimi anni successivi alla riunificazione. Prima le urne premiavano l’ex partito comunista erede del partito unico ai tempi della DDR (Pds, poi Linke). Oggi i voti vanno in massa all’estrema destra di Alternative für Deutschland, che in tutte le regioni orientali supera il 20% e in Sassonia ha toccato due anni fa il record del 27,5.

Il rapporto governativo elenca anche le motivazioni del difficile rapporto dei cittadini dell’Est con la democrazia: scorie del totalitarismo negli anni della DDR, esperienze negative nella fase di transizione, sentimenti di discriminazione (cittadini di seconda classe), ma anche diffuso razzismo e antisemitismo: “Molti si sentono semplicemente delusi dalla democrazia”.

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