Peccato per Giuseppe Conte – o “il Bisconte”, come lo sfottono amichevolmente sul Foglio, pur compiaciuti della sua conferma a Palazzo Chigi dopo la crisi agostana – che la festa della fiducia prima alla Camera e poi anche al Senato gli sia stata guastata a distanza dalla nuova presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Che non ha aspettato di incontrarlo oggi a Bruxelles, per un appuntamento datogli in precedenza, per fargli sapere di non farsi troppe illusioni sulla revisione del cosiddetto patto di stabilità da lui auspicato con l’appoggio, questa volta, del capo dello Stato in persona, Sergio Mattarella.
Sarà pure “stupido”, come lo definì una volta persino l’allora presidente della Commissione, l’italiano Romano Prodi, già presidente del Consiglio a Roma, ma quel patto resta lì dov’è, con tutti i suoi vincoli anti-deficit. E più lo rispetteremo, meglio staremo tutti, ha avvertito la signora con quel piglio militare che aveva già prima di diventare ministra della Difesa nella sua Germania e ha poi perfezionato in quella veste.
Non a caso, del resto, la signora di Bruxelles, italianizzata proprio da Prodi chiamandola Orsola e proponendone il nome anche alla nuova maggioranza giallorossa formatasi attorno al governo Conte 2, ha rispettato a metà – parola anche del quotidiano la Repubblica – l’impegno di assegnare nella nuova Commissione la delega degli affari economici all’italiano Paolo Gentiloni. Egli infatti è stato non affiancato ma sottoposto ad una specie di sorveglianza del vice presidente esecutivo Valdis Dombrovskis: un lettone rigorista, cui i tedeschi molte volte affidano il compito di dire e fare ciò che essi preferiscono non dire e fare in prima persona.
#vonderleyen ha definito competenze nuova Commisione. #Gentiloni gestisce materie economiche ma Valdis #Dombrovskis su quelle materie è “vicepresidente esecutivo”. In altre parole, l’ex premier della Lettonia controlla l’ex premier dell’Italia (paese fondatore) @Corriere pic.twitter.com/Ju0AbCnHbh
— Veronica De Romanis (@VeroDeRomanis) September 11, 2019
Impostata così, l’esperienza di Gentiloni a Bruxelles rischia di tradursi nella impietosa vignetta dedicatagli sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, alle prese con un pallottoliere a colori. L’italiano potrebbe servirgli solo per comunicare a Roma in lingua originale, o di casa, giudizi, moniti e quant’altro saranno decisi “collegialmente”- come ha precisato la stessa presidente- dalla nuova Commissione.
Più possibilità di riuscita o accoglienza ha invece l’aspirazione, l’interesse, il bisogno italiano di una revisione del cosiddetto trattato di Dublino per una disciplina dell’immigrazione che non faccia più della nostra penisola lo stivale nel quale infila il piede il primo che sbarca, o viene sbarcato, sulle nostre coste. Ma se così davvero sarà, se si riuscirà cioè a cambiare le regole degli sbarchi, Conte potrà o dovrà dire di avere raccolto i frutti non tanto del suo secondo governo, ma del primo, realizzato con quel Matteo Salvini al Viminale che è diventato solo dal 20 agosto scorso il suo bersaglio preferito, se non unico.
Duro è stato lo scontro fra i due anche nel dibattito sulla fiducia nell’aula di Palazzo Madama: con Salvini che ha dato all’altro del poltronista e Conte che, pur non chiamandolo né per nome né per cognome, come fece invece il mese scorso nel momento della rottura, gli ha dato dell’arrogante, prepotente e un po’ persino dell’eversore nei rapporti con la Costituzione, su cui pure aveva giurato l’anno passato da ministro dell’Interno.
I due sono ormai destinati a vivere l’uno in funzione del contrasto all’altro. Rappresenteranno il “nuovo bipolarismo” italiano, come ha detto Marco Travaglio, collegato dal suo ufficio di direttore del Fatto Quotidiano, allo studio televisivo di Lilli Gruber. Dove il giorno prima aveva duramente parlato contro il nuovo governo, dando quanto meno del trasformista a chi lo guida, l’editore virtuale di Repubblica Carlo De Benedetti. Di cui Travaglio si è vendicato a suo modo, scrivendone nel proprio editoriale, non avendo potuto farlo a voce con la Gruber, come di uno sprovveduto o, peggio ancora, di un menagramo che ha fatto la sfortuna dei suoi amici o beniamini di turno. Come nemico, pertanto, Conte non dovrebbe temere l’ingegnere. Ma, se fosse per questo, non dovrebbe temerlo neppure Salvini, l’altro polo del presunto bipolarismo attaccato ugualmente da De Benedetti.