Atene e Sparta, Roma e Cartagine, Franchi e Vichinghi, Spagna e Inghilterra, Francia di Napoleone e Gran Bretagna, Impero britannico e Impero dello zar, Impero britannico e Reich germanico, USA e URSS, USA e Cina. Le relazioni internazionali tra Stati si caratterizzano per l’alternanza, in ogni epoca, tra rapporti economici e fasi belliche. Il criterio morale, dal quale gli storici riescono a prendere le distanze quando trattano dei fatti passati, più spesso può annebbiare la vista quando si valutano accadimenti contemporanei. E tale criterio induce facilmente a due errori: il primo di cercare la distinzione tra la parte giusta e quella ingiusta nelle fasi di guerra; il secondo di ritenere che la fase della relazione economica sia sempre un’età dell’oro.
Giusto e ingiusto, bene e male non sono chiavi cognitive, ma strumentazioni ideologiche partigiane utili a consolidare il consenso della propria parte nel confronto con l’altra, sia quando il confronto è economico, sia quando militare. La scienza politica, se tale, esamina gli interessi delle parti, la dialettica tra essi, la forza che li sostiene, la capacità delle diplomazie di mantenere l’equilibrio nella spartizione delle risorse, i rischi permanenti di rottura degli equilibri, l’accumulo di forza militare della parte svantaggiata nella spartizione, il grado di consenso interno ad ogni parte che possa consentire, alla rottura dell’equilibrio, di affrontare l’opzione militare. La storia umana vede l’alternarsi costante di lunghe fasi di confronto economico, convenzionalmente chiamato “pace”, con brevi fasi rivoluzionarie di confronto militare, convenzionalmente definito “guerra”.
Ciò è senz’altro vero nelle relazioni dialettiche tra Stati, ma lo è anche nelle relazioni interne ad ogni Stato tra classi sociali, nelle relazioni tra organizzazioni criminali, tra tifoserie sportive, tra aziende concorrenti, perfino tra fratelli. Vi è pace quando la spartizione delle risorse accontenta le parti a confronto e può essere pace durevole. Vi è pace anche quando la parte che si accaparra una quota sproporzionata di risorse è sproporzionatamente più forte, leonina, rispetto alla parte concorrente, ma è pace precaria. La pace cessa quando la parte soccombente ritiene di aver accumulato forza e consenso interno sufficiente per provare a ribaltare la situazione.
Per riappropriarsi di risorse idriche, terre fertili, vie commerciali, giacimenti minerari, quote di ricchezza interna, piazze di spaccio, calciatori di fama, brevetti industriali, eredità familiari. Salvatore Santangelo, in Fronte dell’Est, editore Castelvecchi, affronta il più contemporaneo dei temi di geopolitica, il conflitto russo ucraino, con l’obiettività di chi si occupa di scienza politica. Non è un caso che l’autore riesca a proporre una lettura della cronaca sotto i nostri occhi rifuggendo dalla furia ideologica, e partigiana, della gran parte dei commentatori.
Il fil rouge che, da Frammenti di un mondo globale, pubblicato nel 2005, attraverso Gerussia, Babel, Geopandemia arriva a Fronte dell’Est è un percorso oramai quasi ventennale di approfondimento della dinamica delle relazioni internazionali con focus sulla vicenda europea e, in particolare, sulle vaste terre tra il Reno e la Moscova dove da oltre due millenni si compie la parte più turbolenta della storia del nostro continente. Lunghe e proficue le fasi di confronto economico in cui l’autore propone il termine Gerussia come sintesi degli interessi dei due principali attori, Germani e Russi, composti in cooperazione economica. Brevi e tragiche le fasi in cui Gerussia diventa il Fronte orientale di uno scontro militare di inaudita violenza.
Le ragioni geografiche, economiche, sociologiche, culturali, nonché psicologiche prese in considerazione da Santangelo sono una miniera ricca e proficua. Leggerle e scoprire le infinite correlazioni tra esse è una scoperta intellettuale che arricchisce il pubblico dei lettori fornendo strumenti cognitivi rinfrescanti nella babele apodittica di commentatori manichei che affollano le cronache del conflitto in corso in terra ucraino-russa. Tra le numerose chiavi di lettura del conflitto in corso che Fronte dell’Est ci propone, una ci è apparsa densa di fascino. Nell’eterno conflitto tra Leviathan e Behemoth, il primo, la potenza di mare spesso è vincitore sul contendente, potenza di terra.
Così è stato nel 1989 quando la NATO, alleanza di mare, ha sconfitto il Patto di Varsavia e in nomina sunt res. Vincere è complesso, costoso e difficile. Gestire la vittoria talvolta può esserlo di più. Le radici della guerra in corso affondano nella sconfitta sovietica vecchia oramai di trent’anni e nel successivo dramma eltsiniano di una Russia terra di conquista dell’affarismo peloso dell’occidente. C’è stato un difetto di sapienza nella gestione della vittoria da parte dei vincitori? Quali rimedi e in quanto tempo e a quali condizioni per ripristinare Gerussia e spegnere il fronte caldo dell’Est? Queste le domande per le quali Santangelo non propone soluzioni un tanto al chilo, ma piuttosto apre la mente a riflessioni approfondite. Una eccellente e agile lettura nell’Estate del 2022.