Si sapeva, per carità, che Dario Franceschini fosse schierato nella corsa alla “rifondazione” del Pd con Elly Schlein. All’annuncio della cui candidatura alla segreteria del Nazareno aveva mandato in qualche modo a rappresentarlo la moglie Michela Di Base, in una manifestazione alla periferia di Roma indicativa di per sé del rifiuto di riconoscersi in un partito votato soprattutto nelle zone centrali e più ricche delle città: le famose o malfamate ztl, secondo i cultori della sinistra che se non è pauperista non è popolare, cioè non è sinistra.
Stanco di nascondersi dietro la consorte, peraltro politica come lui, nelle cronache congressuali del Pd e intenzionato -credo- a rispondere agli attacchi sempre più frequenti dei suoi colleghi ex democristiani di lavorare per fare del Pd una sostanziale riedizione del Pci, Franceschini ha voluto spiegare in una intervista al Corriere della Sera le ragioni del suo tifo per la Schlein.
“In questo momento -ha detto l’ex ministro della Cultura- il Pd non ha bisogno di continità e tranquillità ma di un punto di frattura……Serve un Pd più radicale nella proposta politica, più netto e coraggioso”. Non un partito che si opponga “a questa destra italiana così estrema proponendo al Paese, come troppe volte abbiamo fatto, pressappoco le stesse risposte con solo una spruzzata di giustizia sociale in più”. E, fra tutti i candidati già emersi o tentati di proporsi magari all’ultimo momento, la Sklein con i suoi 37 anni e l’immagine che avrebbe saputo crearsi più o meno clamorosamente, per esempio iscrivendosi al partito, deiscrivendosi e riscrivendosi daccapo, ma giusto per non farsi invalidare la candidatura a segretaria, sarebbe la più adatta alle esigenze del cambiamento. Di persone come lei -ha aggiunto Franceschini- “ne arriva una ogni 10 anni”.
Immagino la faccia di Pier Luigi Castagnetti a leggere queste cose, avendo appena rilasciato lo stesso Castagnetti interviste e pronunciato discorsi contro il pericolo proprio di una maggiore “radicalità” del Pd. Dove lui ed altri ex democristiani potrebbero pure rassegnarsi a restare, a dispetto dei progetti scissionistici a loro attribuiti da diversi giornali, ma non riuscendo certamente a trattenere anche i voti di tanti elettori, dopo quelli già perduti dal Pd a vantaggio di Giorgia Meloni. Che non è cresciuta negli ultimi anni solo a scapito dei suoi alleati di centrodestra.
Ad Elly Schlein, incoraggiata in caso di vittoria congressuale a fare una rivoluzione “generazionale” cui è stata risparmiata solo la denominazione di “rottamazione” di memoria renziana, Franceschini ha riconosciuto anche la capacità quasi divinatoria di recuperare l’alleanza con Giuseppe Conte e al tempo stesso di “competere” con lui, diventato il maggiore concorrente a sinistra del Pd. Di questo benedetto Conte il suo ex ministro si vanta ancora di avere favorito l’evoluzione, dopo l’esordio come alleato della Lega di Matteo Salvini, facendolo “venire nel nostro campo”. Dove forse è diventato un pò troppo aggressivo, ma la sua competizione “può essere virtuosa”. E’ una scommessa, certo, ma scommetto a mia volta che in caso di fallimento Franceschini troverà il modo di non sentirsene responsabile, attribuendone la colpa -come faceva la buonanima di Giuseppe Saragat quando il suo partito socialdemocratico non raccoglieva i voti sperati- al “destino cinico e baro”. E si metterà subito all’opera per concorrere all’elezione di un altro segretario ancora del partito quindicenne dove lui non ha mai svolto funzioni solo contemplative.
Non a caso alla maliziosa intervistatrice del Corriere della Sera che gli prospettava il pericolo di interrompere con l’appoggio alla Schelin l’abitudine, la tradizione e quant’altro di salire “sul carro del vincitore” nelle corse che non si sono certo sprecate al Nazareno, Franceschini ha olimpicamente risposto: “Questa volta è diverso. Sono sul carro della vincitrice”.