skip to Main Content

Giorgetti

Vi racconto le risse poco berlusconiane in Forza Italia

Che cosa succede in Forza Italia. I Graffi di Damato.

 

La guerra, rissa, ressa in Forza Italia, chiamatela come volete, è tutta al femminile, almeno nelle apparenze: Mariastella Gelmini contro Licia Ronzulli a carte scoperte, anzi scopertissime, o Mara Carfagna in competizione on la collega non di partito ma di schieramento Giorgia Meloni per una ristrutturazione del centrodestra di tipo dichiaratamente e orgogliosamente conservatore, con la benedizione di quella specie di Papa laico che è considerato anche negli ambienti scientifici l’ex presidente del Senato Marcello Pera. Papa laico, il simpatico Pera, a causa dei suoi rapporti di affinità culturale e amicizia personale con Benedetto XVI, il Pontefice benemerito col quale Papa Francesco divide in Vaticano, pur in ruoli diversi, l’eredità di Cristo.

E’ roba da far tremare i nervi ai polsi, ma non a quelli del filosofo disincantato Pera, arrivato di recente a scherzare anche sulla candidatura a sua insaputa al Quirinale, prima che il centrodestra si dividesse rovinosamente sulla presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati Alberti, accoltellata politicamente dai franchi tiratori, e sul magistrato emerito Carlo Nordio, adottato alla fine con astuzia solo dal partito di Giorgia Meloni.

A dividere Mariastella Gelmini e Licia Ronzulli è stato formalmente Massimiliano Salini, difeso dalla Gelmini come coordinatore regionale del partito in Lombardia, regione chiave per Forza Italia, e ridotto di rango e funzioni da Silvio Berlusconi per essere sostituito dalla sua più fedele portavoce Ronzulli. Che, quasi per scusarsi con una furente Gelmini, si è declassata a sua volta a semplice soldatessa obbediente agli ordini dell’”Arma”, intesa come quella di Arcore, non certo dei Carabinieri.

Chi ha meritato in questo durissimo scontro la comprensione almeno dei suoi colleghi giornalisti, che ne hanno riferito con un certo garbo, è stato Antonio Tajani. Il quale è stato investito in pubblico dalle proteste della Germini in veste di coordinatore nazionale del partito, come se davvero queste cariche avessero un contenuto in un movimento politico personalissimo come quello di Berlusconi. Non lo è più tanto pesonale neppure quello di Beppe Grillo, degradatosi di recente sul piano quanto meno politico da fondatore, garante e quant’altro a consulente in qualche modo retribuito con l’uso comunicativo del suo blog pur personale dal partito ora contiano. Tajani, poveretto, ha inutilmente cercato di calmare la Gelmini richiamandola alla realtà di una forza politica così speciale come quella di Berlusconi, che è generoso con gli incarichi come Indro Montanelli lo era nel suo Giornale.

La verità è che il motivo serio dell’ultima lacerazione interna a Forza Italia, in attesa della prossima, non è Salini ma il quasi omonimo Salvini, Matteo anziché Massimiliano. Al quale Berlusconi ha concesso un rapporto privilegiato, sino a incoronarlo unico e vero leader dell’Italia, addirittura, nonostante il suo europeismo e atlantismo a corrente alternata, quanto meno diverso quello a corrente continua rivendicato dall’ex presidente del Consiglio. Pera se n’è accorto e ha scaricato il “capitano”, Berlusconi no. Anzi, egli insegue il progetto, o lascia che altri in Forza Italia lo inseguano, di liste unitarie con la Lega per evitare il sorpasso della Meloni nel centrodestra.

È di pochi giorni fa la rivelazione di Salvini al Fatto Quotidiano un po’ imbarazzatodi avere preceduto Giuseppe Conte nella richiesta a Draghi di non fornire più aiuti militari all’Ucraina per non compromettere le trattative di pace pur improbabili con un Putin preoccupato più di perdere la faccia che altri soldati russi, abbandonati peraltro in Ucraina per non contarli e farli seppellire in patria tra le lacrime dei familiari non certo riconoscenti.

Di fronte alla remissività dell’amico Silvio a Salvini chissà se Marcello Dell’Utri non è tornato a djre o invocare “Sveglia Italia”, come nei primi anni, quando si lamentava per scherzo, ma non troppo, del freno di Gianni Letta alle spinte innovative del partito azzurro.

Back To Top