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Verità e bugie sui fondi degli Stati Ue per l’Africa

L'approfondimento di Tino Oldani, firma di Italia Oggi

L’ultimo discorso di Jean-Claude Juncker sullo stato dell’Unione europea è scivolato via come acqua sul marmo. Sui giornaloni, lo ha fregato il fatto che, nello stesso giorno, il Parlamento europeo ha votato due delibere più eccitanti sul piano politico: la mozione contro il premier ungherese Viktor Orbàn, e la direttiva sul copyright, volta ad armonizzare nei singoli Stati le leggi sul diritto d’autore e porre così fine agli abusi dei giganti del web nei confronti di editori e autori delle opere d’ingegno. Eppure ci sono alcuni aspetti del discorso di Juncker che meritano di non finire nel dimenticatoio. Tra questi, alcune informazioni sui rapporti tra l’Unione europea e l’Africa, finora del tutto sconosciute.

Mi riferisco in particolare a una tabellina che si trova a pagina 2 dell’allegato che l’ufficio stampa di Juncker ha messo sul sito dell’Unione europea, a corredo del discorso del presidente uscente della Commissione Ue. Volendo illustrare quanto di buono da lui fatto per aiutare i poveri africani, Juncker ha detto di avere lanciato lui stesso nel 2015 un «Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue per l’Africa», dotato inizialmente di 2,9 miliardi di euro, con l’obiettivo di sostenere 117 programmi di aiuti, volti a «sviluppare l’economia, creare posti di lavoro, instaurare il buon governo, garantire la sicurezza alimentare e l’assistenza sanitaria, e gestire la migrazione».

A giudicare dalle crescenti ondate migratorie, per non parlare del resto (buon governo? posti di lavoro? ma dai!), si direbbe che questo Fondo è stato uno dei tanti flop della gestione Juncker. Ma nella scheda che accompagna il suo discorso, i suoi collaboratori hanno voluto sottolineare un punto, scaricando l’insuccesso sugli Stati membri. Testuale: «Il presidente Juncker ha esortato gli Stati membri a replicare il contributo di 2,7 miliardi di euro attinto dal bilancio Ue, ma finora questi si sono impegnati solo per 227,7 milioni, e hanno erogato 152,5 milioni. La Commissione ha fatto la propria parte, è il momento che gli Stati membri facciano la loro». Per non lasciare dubbi di sorta, segue una tabellina, dove per ognuno dei 27 Stati membri è indicato l’ammontare degli impegni presi, con a fianco il contributo realmente versato.

Qui viene il bello. Incredibile a dirsi, il Paese che si è impegnato maggiormente a versare un contributo al Fondo Ue per l’Africa non è quello con il pil più elevato, ovvero la Germania, bensì l’Italia, che su 92 milioni promessi, ne ha già versati ben 82. Il governo della signora Angela Merkel ha promesso 51 milioni, ma poi ha avuto il braccino corto e ne ha versati finora soltanto 13. La Francia, con la faccia di tolla tipica del suo presidente Emmanuel Macron, si è comportata da paese povero e ha promesso pochi spiccioli (3 milioni), già versati.

In fondo, Macron è il primo a sapere che i fondi Ue per l’Africa, dal punto di vista francese, sono solo una partita di giro, poiché grazie al franco coloniale la Francia controlla e deruba a man bassa le finanze di 14 sue ex colonie, oggi stati africani fintamente indipendenti, dove al posto del «buon governo» ci sono dei dittatori ubbidienti a Parigi, affiancati da tycoon francesi che controllano i monopoli delle principali attività: materie prime, banche, telecomunicazioni, elettricità, porti, agricoltura, e così via.

Anche la Spagna, pur essendo un paese mediterraneo vicino all’Africa, quindi interessato a favorirne lo sviluppo per contenere le migrazioni, ha avuto il braccino corto: come la Francia, ha promesso 3 milioni di euro, già versati. A questo punto, se consideriamo i quattro maggiori paesi Ue, e tiriamo le somme, si scopre che l’Italia (con 82 milioni già dati a Bruxelles), ha versato più risorse per l’Africa di Germania, Francia e Spagna messe insieme (19 milioni in tutto). Dati da sventolare in faccia a chi, come la commissaria Onu per i diritti umani, Michelle Bachelet, accusa di razzismo il nostro paese. Non solo. Francia e Spagna si sono rivelate più tirchie della Danimarca (6 milioni promessi e versati) e dell’Olanda (16,3 milioni promessi, di cui 13,3 versati).

Tra i paesi più sparagnini, vi è anche l’Ungheria di Viktor Orbàn (700 mila euro promessi e versati), Malta (250 mila euro promessi, 100 mila versati), Portogallo (450 mila euro promessi e versati). In coda alla graduatoria, con appena 50 mila euro promessi e versati, ci sono Bulgaria, Lettonia, Lituania e Slovenia.

Nel suo discorso, Juncker ha annunciato per l’Africa un pacchetto di misure Ue che, in aggiunta al Fondo per l’emergenza, sarebbe in grado di produrre 10 milioni di posti di lavoro nei prossimi cinque anni. Una sorta di Piano Marshall, auspicato più volte da vari leader europei per «aiutare a casa loro» i migranti. Purtroppo, quella di Juncker è la solita aria fritta, come dimostrano fatti e cifre. Un piano europeo per l’Africa esiste già, in quanto nel 2014 è stato lanciato il Programma Panafricano, che avrà termine nel 2020, finanziato con 845 milioni di euro.

Tale programma, disperso su centinaia di iniziative locali, ha funzionato poco e male, tanto è vero che anche nei paesi africani che ne hanno beneficiato e hanno avuto un incremento del pil, la disoccupazione è rimasta altissima (oltre il 20%), soprattutto tra i giovani. Anche per questo, ben pochi prevedono che il Programma Panafricano possa essere rifinanziato prima della scadenza nel 2020. Senza contare che all’orizzonte ci sono le elezioni per il nuovo Parlamento europeo e una nuova Commissione Ue che, anche a prescindere da un’eventuale influenza sovranista, dovrà fare i conti con la Cina di Xi Jinping, il quale ha appena messo in campo 60 miliardi di dollari da investire in molti paesi africani, per farne delle proprie colonie economiche. Al confronto, gli 845 milioni del piano Ue 2014-2020 sono briciole risibili, che rischiano di non lasciare alcuna traccia. Più o meno, come Juncker.

Articolo pubblicato su Italia Oggi

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