Raffaele Fitto, il ministro degli affari europei e dintorni che la premier Giorgia Meloni tiene molto in conto – tanto da essere rappresentata da alcuni giornali come indecisa se trattenerlo nel governo o promuoverlo mandandolo nella nuova Commissione europea, se dovesse strappare alla presidente Ursula von der Leyen le deleghe adeguate – ha fatto di suo un passo verso Bruxelles con una lettura anestetica, diciamo così, del dossier appena pubblicato dalla Commissione uscente sullo stato di diritto in Italia. Che sarebbe minacciato dalle riforme progettate dal governo e all’esame del Parlamento, a cominciare dal cosiddetto premierato, come viene tradotta istituzionalmente l’elezione diretta del presidente del Consiglio.
Cinquantacinque anni da compiere il 28 agosto, democristiano di provenienza, in competizione con Pier Ferdinando Casini per il titolo di superstite di maggiore successo di quello che fu il partito dello scudo crociato, Fitto non si è adombrato per le “preoccupazioni” espresse dal dossier della Commissione uscente sugli effetti delle riforme in cantiere nel Parlamento italiano. A queste preoccupazioni ha preferito i “riconoscimenti” dei progressi della “digitalizzazione” nel settore giudiziario e altri aspetti ignorati dai critici del rapporto. Che comunque – ha ricordato il ministro – non riguarda solo l’Italia ma tanti altri paesi dell’Unione.
Questa lettura – ripeto, anestetica o anestetizzante – del dossier europeo è condivisa dal Foglio, che se la prende in un titolo di prima pagina con le forzature, anzi le “bufale”, di una Repubblica, quella di carta, che l’ha sventolata ieri come una bandiera nella navigazione contro il governo parafascista, o simile, di Giorgia Meloni.
“Il rapporto – scrive ottimisticamente Il Foglio – non fa che fotografare la situazione, dando spazio a tutte le voci. Riportare soltanto quelle critiche, spacciandole pure per posizioni della Commissione Ue, è pura opera di disinformazione”, accompagnata “con traduzioni maccheroniche dall’inglese degne di uno studente delle scuole medie”. Alla cui cultura è stato degradato anche un ex collaboratore, peraltro, del Foglio, ed ex capo ufficio stampa della Meloni a Palazzo Chigi, come Mario Sechi. Che da direttore di Libero è rimasto basito, non a torto, dalla lettura del dossier.
“La patacca europea”, ha titolato Libero, “che bastona l’Italia su riforme e informazione” usando come “fonti di studio Ong, toghe rosse e l’Anac in mano all’opposizione”.
Diversamente dall’ormai confratello editoriale Il Giornale, che ha praticamente ignorato il problema, Sechi ha scritto, raccomandato e quant’altro nel suo editoriale, riprendendosi un po’ le funzioni svolte in passato a Palazzo Chigi: “Il centrodestra di fronte a questa falsa rappresentazione deve rispondere a tono”. Che purtroppo è stato, almeno a livello di governo, quello del ministro Fitto, probabile successore dell’italiano Paolo Gentiloni, non si sa ancora con quali deleghe, nella Commissione di Bruxelles.