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Arnese

Ferragni eccita Tod’s, sindacati ko in Amazon, nuovi ordini di Figliuolo, Guerra (Oms) attapirato, Gratteri rincula

Fatti, nomi, numeri, curiosità e polemiche. I tweet di Michele Arnese, direttore di Start

 

ORDINI E NUMERI DI FIGLIUOLO

 

REGIONI E VACCINI TRA NUMERI E DEFAILLANCE

COME SARA’ TOD’S DI DELLA VALLE CON CHIARA FERRAGNI

Chiara Ferragni salverà Tod’s?

Ecco come e quanto la pandemia fa le scarpe a Tod’s

 

LA PANDEMIA GIUDIZIARIA DI GUERRA (OMS)

 

I SOLDONI DI BIDEN

 

I DIPENDENTI DI AMAZON ATTAPIRANO BIDEN?

 

IBARRA TAGLIA IN SKY

 

TACCUINO GLOBAL DI TRIA

 

IL RINCULO DI GRATTERI

 

CASELLARIO OPEN

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL SOLE 24 ORE SU TODS’ E CHIARA FERRAGNI:

L’effetto Ferragni sul titolo Tod’s vale 135 milioni. Di tanto è salita ieri la capitalizzazione del gruppo di Diego Della Valle dopo l’annuncio in mattinata dell’ingresso di Chiara Ferragni nel consiglio di amministrazione. A Piazza Affari il titolo ha chiuso le contrattazioni sui massimi con un progresso del 14% a 32,74 euro per azione.

«La conoscenza di Chiara del mondo dei giovani sarà sicuramente preziosa. Inoltre, insieme, cercheremo di costruire progetti solidali e di sostegno per chi ha più bisogno, sensibilizzando e coinvolgendo sempre di più le nuove generazioni in operazioni di questo tipo» ha commentato Della Valle.

L’ingresso nel board di Tod’s rappresenta per Ferragni anche l’occasione per fare un’esperienza di governance in una società quotata, dal momento che nell’autunno scorso aveva profilato per la propria società un futuro da quotata o parte di un grande gruppo del lusso. Per quel passo, però, è necessario lavorare prima sullo sviluppo e la redditività di Fenice (ex Serendipity), che nel 2019 aveva chiuso in rosso per 521mila euro. In utile, invece, sia Tbs Crew (450mila euro) sia Sisterhood (4,995 milioni), partecipate al 55% e al 99% da Ferragni.

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Chiara Ferragni salverà Tod’s?

Ecco come e quanto la pandemia fa le scarpe a Tod’s (che si affida a Ferragni)

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI FEDERICO RAMPINI SU AMAZON DA REPUBBLICA:

Jeff Bezos corona il suo trionfo economico aggiungendoci una vittoria politica: non è passato il referendum per ammettere il sindacato dentro uno stabilimento di distribuzione Amazon, a Bessemer inAlabama. Un’ampia maggioranza di lavoratori (71%) ha votato “no”, sbarrando la strada al tesseramento dei dipendenti. Il magazzino di smistamento di Bessemer, aperto di recente, ha solo 8.500 addetti, sui950.000 che lavorano alle dipendenze dirette di Amazon negli Stati Uniti. Però questo referendum era considerato un test e aveva attratto un’enorme attenzione a livello nazionale. Un vittoria del sindacato inAlabama – Stato del profondo Sud con una tradizione di scarsa tutela per i diritti dei lavoratori – poteva segnare l’inizio di un effetto domino.

Finora nessuna sede Amazon ha organizzazioni sindacali al proprio interno. In passato altri tentativi simili sono falliti, così come i referendum per sindacalizzare i dipendenti della filiale Whole Foods nella distribuzione alimentare.Ma Bessemer non ha voluto la svolta, la maggioranza dei lavoratori ha preferito lo status quo. Il sindacato dei dipendenti del commercio accusa Bezos e i suoi top manager di avere fatto pressioni indebite, al limite dell’intimidazione, e promette ricorsi. I vertici di Amazon rispondono che i lavoratori non hanno voluto affidare la propria rappresentanza al sindacato perché godono di paghe alte (oltre 15 dollari orari, più del doppio rispetto al salario minimo) e di buone polizze assicurative per le cure mediche. Il sindacato ribatte ancora che i lavoratori di Amazon hanno ritmi stressanti e una disciplina durissima, i salari non bastano a compensare queste condizioni di lavoro, ed è qui che la contrattazione sindacale potrebbe aiutarli.Ironia della sorte, Bezos passa per essere un pilastro dell’establishment progressista: come editore delWashington Post ha sostenuto l’opposizione contro Donald Trump; di recente ha creato un fondo da 10 miliardi per la lotta al cambiamento climatico. Ma non ha mai voluto i sindacati nella sua azienda. Il 2020 è stato un anno d’oro per Amazon. La regina del commercio digitale ha aumentato la quota di mercato fino al42%, e visto crescere la quotazione in Borsa del 76%. Nel corso della pandemia, per fare fronte al boom di domanda, a livello mondiale ha dovuto aumentare di cinquecentomila addetti il suo organico. Il fatturato è salito a 386 miliardi di dollari.La sinistra politica è delusa perché aveva investito molto su questa battaglia. A fare comizi ai cancelli del deposito Amazon si erano viste star della politica nazionale come il senatore socialista Bernie Sanders ,ex candidato alla nomination democratica per la Casa Bianca. Tra le celebrity dello spettacolo era andato a sostenere il sindacato l’attore afroamericano Danny Glover. Una maggioranza dei dipendenti nello stabilimento dell’Alabama sono neri. La sinistra radicale sperava di operare una saldatura fra i temi antirazzisti di Black Lives Matter e la sindacalizzazione. Invece si è avuto conferma che gli slogan di Black Lives Matter non fanno breccia nella classe operaia afroamericana. La celebrity Glover “vale” 30 milioni di dollari, un’inezia rispetto al patrimonio di Jeff Bezos che è l’uomo più ricco del mondo (193 miliardi) e ha visto aumentare ulteriormente la sua ricchezza proprio nell’anno dei lockdown. Agli occhi degli operai afroamericani evidentemente la politica fatta con le celebrity non è stata un’alternativa convincente. Indirettamente l’esito del referendum è una battuta d’arresto anche per Biden, che vuole inaugurare una presidenza pro-sindacale e invertire la tendenza che da 40 anni vede ridursi la percentuale di lavoratori rappresentati dalle Union. Ormai è di poco superiore a un decimo, con l’unica eccezione del pubblico impiego. A indebolire le accuse del sindacato sulle irregolarità del referendum c’è il fatto che la supervisione del voto è stata effettuata dal National Labor Relations Board, un’agenzia federale i cui vertici sono stati di recente nominati da Biden.

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ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL CORRIERE DELLA SERA SU GUERRA, ZAMBON E OMS:

Il direttore vicario dell’Oms Ranieri Guerra è indagato dalla Procura di Bergamo per false dichiarazioni. I pm gli contestano di aver negato, in un lungo interrogatorio del 5 novembre, qualsiasi pressione sul capo dei ricercatori dell’ufficio di Venezia dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Francesco Zambon, per chiedergli di correggere un delicato passaggio sul Piano pandemico italiano non aggiornato, contenuto nel report che l’Oms aveva pubblicato a maggio 2020 sul sito della sezione europea, ma che era scomparso nel giro di 24 ore: eliminato per sempre. In più, secondo il pool che indaga per epidemia colposa con il supporto della Guardia di finanza, in quello stesso interrogatorio Guerra aveva spiegato che durante il suo incarico di direttore della Prevenzione del ministero della Salute, dal 2014 a fine 2017, non c’era stato bisogno di aggiornare il Piano pandemico, perché non c’erano stati eventi tali da richiedere nuove linee guida. Ma, ha ricostruito la Procura, nel 2013 l’Oms aveva chiesto un aggiornamento, che poi non ci fu.

La scomparsa del report ha portato a una rogatoria internazionale della Procura verso l’Oms, a Ginevra. In una mail delle 9.13 dell’11 maggio 2020, Guerra si era complimentato con Zambon per il lavoro svolto: «Hai fatto veramente una cosa straordinaria. Direi una cinquantina di copie o più se puoi. Farei una per ogni membro Cts e una per ogni direzione del ministero e governo». Lo studio doveva essere pubblicato il giorno dopo, secondo i chiarimenti forniti dallo stesso Zambon alla Procura aveva già superato i diversi livelli di approvazione dentro l’Organizzazione, ma Guerra non aveva ancora letto tutto il documento. Come invece fece quel pomeriggio. La mail delle 23.18 era decisamente diversa: «Oms è sotto schiaffo pesantissimo». E ancora: «Ricordati che hanno appena dato 10 milioni di contributo volontario sulla fiducia», riferendosi al governo.

Il report si era fatto notare: anche il presidente dell’Iss Silvio Brusaferro aveva telefonato a Zambon, sorpreso perché lo studio definiva «caotica e improvvisata» la gestione italiana della pandemia. Erano seguiti contatti tra Guerra e il ricercatore, che poi in Procura ha anche parlato di «minacce». «Ritirai lo studio per una correzione su alcuni dati, poi non è più tornato online», ha detto Zambon. All’inizio di marzo si è dimesso dall’Oms, Guerra è invece indagato per falso e potrà sollevare l’immunità diplomatica solo di fronte a un giudice. Mentre la Procura di Venezia, dopo Bergamo, sta valutando un’altra ipotesi di reato in merito alle presunte pressioni esercitate sui ricercatori. «Mi dispiace venire dipinto come l’orco cattivo — ha dichiarato ieri al Corriere Ranieri Guerra — è una situazione che mi lascia perplesso e amareggiato. Credo che la Procura abbia chiesto chiarimenti a Oms su questa vicenda. Spero si chiarisca davvero tutto».

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