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Vi racconto cosa succede tra Europa e Stati Uniti su dazi e Iran

Il commento di Giorgio La Malfa sullo stato delle relazioni fra Stati Uniti da una parte e Francia-Germania dall’altra parte. Dossier: dazi e Iran, in particolare Evidentemente i colloqui di Trump di questi giorni con i leader europei devono essere andati male, molto peggio di quanto è apparso dalle dichiarazioni ufficiali e dalle cronache giornalistiche. Non…

Evidentemente i colloqui di Trump di questi giorni con i leader europei devono essere andati male, molto peggio di quanto è apparso dalle dichiarazioni ufficiali e dalle cronache giornalistiche. Non solo l’incontro fra Trump e la cancelliera tedesca Merkel, in cui era evidente la freddezza reciproca, ma anche quello più pirotecnico con Macron, condito di pacche sulle spalle e di apprezzamenti reciproci. Altrimenti non si spiegherebbe come, a poche ore dalla fine di quegli incontri, la Germania e la Francia abbiano concordato anche con l’Inghilterra una posizione comune molto netta sulle due questioni di cui si era discusso a Washington: le eventuali decisioni di Trump sui dazi doganali sulle importazioni negli Stati Uniti dall’Unione Europea e i rapporti con l’Iran.

Sul commercio internazionale, gli Stati Uniti hanno annunciato l’introduzione dei dazi, ma ne hanno sospeso fino al primo maggio l’applicazione all’Unione Europea. E’ evidente che nei colloqui dei giorni scorsi, Trump deve avere espresso la volontà di non rinunciare alla applicazione delle tariffe doganali all’Europa. Di qui la reazione europea e la minaccia di mettere dazi europei sulle merci americane. D’altra parte, gli Stati Uniti non possono ignorare che se un paese avvia una guerra doganale nei confronti di altri paesi, la conseguenza non può che essere l’aumento dei dazi dappertutto con le conseguenze negative sul commercio mondiale che non possono non seguirne.
Altrettanto importante è la questione dell’accordo con l’Iran. Durante la campagna elettorale, Trump si è sempre espresso contro quell’accordo: era un modo per avere i voti della destra e magari il sostegno di paesi come l’Arabia saudita. Poi è sembrato più cauto, ma ora l’ingresso nell’Amministrazione di esponenti extraconservatori come Bolton lo hanno spinto verso la denuncia dell’accordo.

Anche su questo l’Europa fa bene a reagire. Conviene ricordare perché l’accordo con l’Iran è positivo, anzi è indispensabile. Si deve sapere che se un paese decide di costruirsi delle armi nucleari, non c’è un trattato internazionale che lo vieta. Se per ipotesi quel paese è firmatario del trattato di non-proliferazione, la sola cosa che deve fare è dichiarare che intende uscirne – il che è legittimo – e poi può procedere legalmente a dotarsi di un arsenale militare nucleare. Si è visto con la Corea del Nord. Trump presenta i colloqui con la Corea del Nord come un successo, ma dimentica di dire che nel frattempo quel paese si è dotato di un’arma nucleare e gli Stati Uniti ne hanno preso semplicemente atto.

L’Iran ha invece scelto una strada diversa e lo ha fatto dopo una dura discussione interna fra i cosiddetti falchi e le colombe. Ha deciso di congelare le attività di preparazione delle armi nucleari e finora ha pienamente rispettato l’accordo. Implicitamente lo riconosce lo stesso Trump che attacca l’accordo in linea di principio, ma non ne contesta la violazione da parte dell’Iran.

Dunque, bene l’intesa fra Germania, Francia e Inghilterra che torna a far sentire la voce dell’Europa, una voce politica e non burocratica. Naturalmente è un peccato che non ci sia anche la voce dell’Italia che ha un’interesse molto rilevante al mantenimento della libertà del commercio internazionale, e che, nella preparazione dell’accordo con l’Iran sul nucleare ha svolto un ruolo positivo e importante accanto agli altri paesi negoziatori.

Naturalmente, mancando un governo nella pienezza dei suoi poteri, Germania, Francia e Inghilterra, che avevano evidentemente la necessità di una presa di posizione tempestiva, hanno fatto a meno di noi. Motivo in più per non sottovalutare la necessità di uscire presto dall’impasse postelettorale di queste settimane. Motivo per non proclamare con leggerezza che si può tornare alle elezioni, come se il non avere un governo per mesi e mesi non costerebbe nulla. Motivo in più per chiedere a tutte le forze che hanno rappresentanza in Parlamento di non limitarsi a proclamare quale governo vorrebbero, ma di sentire l’obbligo di contribuire a dare un governo nella pienezza dei suoi poteri all’Italia. Nel corso del lungo dopoguerra i partiti hanno sempre riconosciuto che, se esistevano delle difficoltà nel realizzare le soluzioni che i maggiori protagonisti auspicavano, vi era comunque la necessità di consentire l’ordinato funzionamento delle istituzioni e la rappresentanza internazionale del Paese e che il tempo poteva consentire di sciogliere i nodi che parevano troppo aggrovigliati.

Consideriamo il comunicato congiunto franco-tedesco- britannico non solo come un fatto positivo per l’Europa, ma anche come un richiamo all’Italia a fare in fretta a chiudere la fase elettorale.

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