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Etica Politica

L’etica politica è l’etica dei risultati. Ma di tutti i risultati?

Il Bloc Notes di Michele Magno.

L’etica politica è l’etica dei risultati e non dei princìpi. Ma di tutti i risultati? Se si vuol distinguere risultato da risultato -osservava Norberto Bobbio- non occorre ancora una volta risalire ai princìpi? Si può ridurre il buon risultato al successo immediato, magari come quello incassato (non solo in Italia) dalle campagne xenofobe? C’è un verso del “Bellum Civile” del poeta latino Lucano che recita: “Victrix causa deis placuit/ Sed victa Catoni”. Il suo senso è: la causa di Cesare vinse perché appoggiata dagli dei, mentre Catone l’Uticense perse per aver sposato la causa della libertà repubblicana. Significa che i vinti hanno sempre torto per il solo fatto di essere vinti? Ma il vinto di oggi non può essere il vincitore di domani?

LA BUONA MENZOGNA DI TOMMASO D’AQUINO

Tommaso d’Aquino lo chiamava “pium mendacium”, la buona menzogna. Ti faccio credere il falso, ma a fin di bene: scelta moralmente lecita, tra gli altri, per Benedetto Croce, Dietrich Bonhöffer e Paul Feyerabend. Un’altra tradizione, che fa riferimento soprattutto ad Agostino e a Kant, ritiene invece che la menzogna sia sempre e in sé un male, anche quando lo scopo è nobile o altruistico. Infatti, essa viola quella richiesta e aspettativa di verità che è il requisito basilare di un’etica della comunicazione.

LA NUOVA INQUISIZIONE

Il 20 luglio 1542 fu istituita la nuova Inquisizione, con il compito principale di contrastare la diffusione dell’eresia protestante. Il Sant’Uffizio rivestì un ruolo fondamentale nella riorganizzazione della Chiesa di Roma, rispondendo alle esigenze di controllo, punizione, educazione del corpo sociale e di quello ecclesiasistico. Erede dell’esperienza spagnola di verifica della reale conversione di islamici ed ebrei, l’Inquisizione si sforzava di far cadere la maschera con cui cercavano di nascondersi i nicodemiti italiani (il termine nicodemita, coniato da Calvino, deriva da Nicodemo, il fariseo che, secondo il Vangelo di Giovanni, di notte andava di nascosto ad ascoltare Gesù, mentre di giorno simulava una piena adesione alla sua setta). Di fronte alla durezza delle pratiche inquisitorie, i nicodemiti reagirono elaborando un singolare statuto etico, in cui simulazione e dissimulazione da potenziali vizi diventano autentiche virtù, imprescindibili per ogni uomo di corte e profondamente radicate nella virtù cardinale della prudenza.

L’INTELLETTUALE DISINCANTATO

Emblema del perfetto perdigiorno, nella tradizione letteraria dell’Ottocento il “flâneur” rappresenta l’intellettuale che passa il suo tempo vagando senza meta, contemplando con disincanto le masse che si muovono nello spazio urbano. È insomma un aristocratico dello spirito, un borghese esentato dalla lotta per la sopravvivenza, un prodotto della rivoluzione industriale, come aveva acutamente intuito Walter Benjamin. Suo erede moderno è considerato il  “cyberflâneur”, il solitario navigatore della Rete che guarda con distacco il multiforme spettacolo della realtà virtuale. Per questo, ogni volta che sul web assisto a deprimenti risse politiche da cortile anziché a un serio confronto delle idee, recito la splendida preghiera laica dell’illuminista tedesco Christian Woolf: “Sia lodato il cielo per la solitudine. Lasciatemi solo. Sia lodato il cielo per la solitudine che ha rimosso la pressione dell’occhio, la sollecitazione del corpo e ogni bisogno di menzogne e di frasi”.

LA “MINORANZA SILENZIOSA” DI FLAIANO

“Appartengo alla minoranza silenziosa. Sono di quei pochi che non hanno più nulla da dire e aspettano. Che cosa? Che tutto si chiarisca? È improbabile. L’età mi ha ha portato la certezza che niente si può chiarire: in questo paese che amo non esiste semplicemente la verità. Paesi molto più piccoli e importanti del nostro hanno una loro unica verità, noi ne abbiamo infinite versioni. Le cause? Lascio agli storici, ai sociologi, agli psicanalisti, alle tavole rotonde il compito di indicarci le cause, io ne subisco gli effetti. E con me pochi altri, perché quasi tutti hanno una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi. Alla tavola rotonda bisognerebbe invitare anche uno storico dell’arte per fargli dire quale influenza può avere avuto il barocco nella nostra psicologia. In Italia infatti la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Viviamo in una rete di arabeschi” (Ennio Flaiano, Corriere della Sera, 3 settembre 1972).

LE PRIMARIE E LA SOCIETÀ CIVILE

“A fasi alterne, le primarie sono state esaltate o maltrattate, da politici e commentatori. Oggi capita spesso che anche analisti normalmente inclini a esaltare le virtù della “società civile” e della partecipazione si ritrovino a considerare preferibile che a decidere le candidature a sindaco siano, sempre e comunque, i dirigenti di partito. Sottolineo che si tratta dalle primarie a sindaco, perché non tutte le primarie sono uguali. […] Le primarie aperte volevano e possono essere una consapevole “cessione di sovranità” dei gruppi dirigenti all’opinione pubblica cittadina, anche a quella che i partiti normalmente non intercettano, e al tempo stesso lo strumento per istituzionalizzare un circuito virtuoso di partecipazione, coinvolgimento, scelta dei candidati più popolari.

È ovvio che le due cose stanno o cadono insieme. Si partecipa più volentieri dove una effettiva cessione di sovranità consente una reale competizione tra profili diversi. Al contrario, in questa fase, le primarie vengono interpretate come un modo per legittimare decisioni che i dirigenti non hanno avuto il coraggio di prendere o che non avrebbero potuto prendere negli organismi di partito” (Salvatore Vassallo, “Le buone primarie sono una cessione di sovranità dei dirigenti di partito agli elettori”, newsletter del quotidiano Domani, 20 giugno 2021).

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