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Il velo femminista e L’Espresso surrealista

"Indossare il velo è una scelta femminista", titola il settimanale L'Espresso. La lettera di Marco Orioles

Caro direttore,

confesso di non avere provato stupore nello scoprire che un settimanale già glorioso come lo scalfariano Espresso sia scivolato nella sdrucciolevole buccia del velo islamico, partorendo una creativa intervista ad una tale Aya Mohamed, presentata come una “giovane attivista, molto seguita su Instagram” e di origini egiziane, e lanciando al grande pubblico l’articolo sotto il titolo davvero surreale Indossare il velo è una scelta femminista.

L’operazione non mi sorprende perché in quell’area politica risultano molto diffuse le incomprensioni sull’Islam, ben testimoniate dalle sfilate a capo coperto di leader di provata ortodossia progressista come Federica Mogherini e Debora Serracchiani in quella terra chiamata Iran dove il femminismo islamico reclamizzato dall’Espresso trova la sua più fulgida espressione, se mi consente di celiare sul dramma delle donne di quel Paese.

“Rispetto le loro tradizioni”, disse più o meno l’allora presidente della Regione Friuli Venezia Giulia oggi deputata Pd quando dovette difendersi dal fuoco incrociato di chi la inchiodava a quelle foto appena scattate a Teheran, dove Serracchiani si era recata in visita istituzionale, che mostravano lo stridente contrasto del sorriso smagliante dell’allora n. 2 del partito Democratico senza il suo consueto caschetto, occultato da un morigerato velo.

Si tratta, a ben vedere, dello stesso equivoco che vorrebbero ingenerare le parole della instagrammer stanata dall’Espresso, lesta a precisare che “ogni popolo porta avanti la propria cultura” e quindi – l’implicazione – guai a esprimere giudizi etnocentrici se non razzisti e vannacciani su usi e costumi altrui.

Se queste sono le premesse, il resto è una conseguenza logica: “Per me il velo è una libera scelta al pari di una minigonna”, spiega la ragazza che per l’Espresso “ è riuscita ad avvicinare la sua generazione con importanti riflessioni sull’inclusività nei confronti delle donne musulmane, anticipando anche ciò che oggi fanno molti brand con collezioni progressiste”.

Velo femminista e progressista dunque? Capisco il suo sconcerto, direttore, che poi è lo stesso che provano le donne iraniane – le presunte femministe al cubo, secondo il fumoso ragionamento propostoci – quando ascoltano i deliri in libertà che riecheggiano nei dibattiti nostrani su questi temi ostici e pieni di tranelli.

La reazione che ebbe una dissidente iraniana passata qualche anno fa per la mia città mi pare talmente indicativa che mi permetto di riportarla qui. Chahdortt Djavann è fuggita giovanissima da quello che lei stessa definisce l’inferno iraniano riparando in Francia, dove ha coltivato gli studi antropologici ma ancor più si è fatta apprezzare per gli scritti polemici sulla religione islamica di cui in Italia sono stati tradotti i più famosi Giù il velo e Cosa pensa Allah dell’Europa.

Era il 2007 quando la focosa donna all’epoca gettonatissima in tv fu invitata a Udine per partecipare ad una tavola rotonda cui però, una volta giunta in città e visionato il programma, si rifiutò di partecipare per non doversi confrontare su un tema come il femminismo islamico da lei definito semplicemente come il parto della più fervida fantasia o, peggio, un insulto a chi muore sotto le percosse della polizia morale per un ciuffo ribelle.

Convinta di essere stata attirata in una trappola, Djavann decise di rilasciare un’intervista di fuoco a un giovane youtuber udinese che poi era lo stesso che le sta scrivendo ora con qualche anno in meno sulle spalle. Un’intervista in cui la scrittrice denunciava a gran voce il “fascismo islamico” di un regime come quello degli ayatollah che impone alle donne il diktat del velo obbligatorio e attua il più soffocante pattugliamento delle strade alla ricerca delle reprobe e delle refrattarie.

Torniamo allora alla nostra instagrammer per una rapida conclusione. “Il velo – ci dice – è un codice di abbigliamento, l’Islam è anche uno stile di vita con regole per uomini e donne”. Codice, regole: come questi lemmi che sanno di autorità – autorità di un libro come il Corano sugli individui e le loro libere aspirazioni – si concilino con il femminismo e la sua spinta rivoluzionaria e disgregatrice di ordini e tradizioni di anche vago sapore misogino, è mistero che spero sia afferrato dai lettori dell’Espresso ma che a me continua a sfuggire.

Marco Orioles

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