skip to Main Content

Gas

Vi spiego come Erdogan ha vinto in Turchia. Parla Marco Ansaldo (Limes)

Ragioni e sfide della rielezione di Erdogan in Turchia. Conversazione con Marco Ansaldo, giornalista per anni a Repubblica, inviato speciale per la politica internazionale, vaticanista e consigliere scientifico di Limes.

 

La Turchia ha scelto di affidarsi ancora a Recep Tayyip Erdoğan. Nel secondo turno delle elezioni presidenziali il “sultano” ha raccolto il 52% dei consensi, sostanzialmente la stessa percentuale dei due precedenti appuntamenti elettorali. La differenza è che questa volta è stato costretto al doppio turno dall’opposizione guidata da Kemal Kilicdaroglu.

Dei risultati delle elezioni turche ne abbiamo parlato con con Marco Ansaldo giornalista per anni a Repubblica, inviato speciale per la politica internazionale, vaticanista e consigliere scientifico di Limes.

Erdogan ha vinto ma non è stato un plebiscito. Che cosa significa?

Intanto direi che non è stato un trionfo da un punto di vista numerico, 52 a 48, però, in ogni caso è stata una grandissima vittoria per Erdogan. Se vediamo i sondaggi risalenti alla vigilia del 14 maggio, quindi al primo voto, Erdogan era sotto: lui per mesi e mesi è stato indietro. Soltanto al momento del voto, cioè il momento che conta, c’è stato lo scatto. Per il presidente turco è stata una vittoria formidabile. Io ieri sera l’ho visto cantare, non era mai successo, non ho mai visto un Erdogan così felice. Questa è stata sicuramente la vittoria più bella e più sofferta per lui.

È stata una vittoria inaspettata?

No, lui era convinto di vincere ed era talmente convinto da aver addirittura anticipato il voto rispetto alla data. E’ un uomo che accetta i rischi, è un grandissimo giocatore di poker, è un uomo che ormai viene considerato inscalfibile, invincibile, imbattibile. E questo è Erdogan. E bisogna ammetterlo, per la scarsità di forza dell’appeal delle proposte, per le divisioni, per la debolezza, per l’incertezza dell’opposizione, contro la sua prorompenza che, invece, è storica. I risultati delle elezioni confermano che la Turchia è spaccata a metà, è un paese estremamente polarizzato. Erdogan è una figura che divide molto sia all’interno che all’estero. Però bisogna riconoscere la sua bravura dal punto di vista tattico e strategico, e quindi da un punto di vista politico. Oggi Erdogan è sicuramente uno dei migliori leader al mondo, non parlo di moralità, certo, ma semplicemente di politica.

Da una prima analisi dei flussi elettorali, sembra che abbia convinto più nel centro della Turchia che non nelle zone costiere e nelle grandi città. Quali sono i temi forti che hanno convinto i suoi elettori?

Il tema forte, che lui ha adottato fin da quando si è affacciato alla politica, nel ‘94 diventando sindaco di Istanbul, è l’inclusione delle classi meno agiate, delle classi più deboli e delle classi interne del paese. Progetto portato avanti nel 2002, quando ha corso alle politiche, è diventato Primo Ministro e si è sganciato da Istanbul, che gli è servita da trampolino di lancio per il paese. Ha sfruttato benissimo i timori e la secondarietà che hanno sempre sofferto le classi anatoliche, i cosiddetti turchi neri, così diversi rispetto ai turchi della costa, biondi e con gli occhi celesti, circassi e laici. Questi ultimi erano sempre vincenti in Turchia. Invece Erdogan è stato il protagonista di una rivoluzione sociale vera e propria che ha fatto vincere la Turchia interna. Al di là della capitale Ankara, che è laica e repubblicana, il centro, cioè l’Anatolia, è in maniera compatta con Erdogan. Le grandi città come Istanbul, Smirne, e poi tutta la costa fino alla zona curda, sono chiaramente più aperte, più liberali, più democratiche e si ritrovano più nell’opposizione. Erdogan, anche in queste elezioni, ha battuto molto sui temi del conservatorismo, dell’identità religiosa, contraria a istanze innovative considerate troppo radicali, eccessive. Anche ieri lui si è scagliato, non soltanto contro Kemal Kılıçdaroğlu dicendogli “Kemal bye bye”, ma anche contro la comunità LGBT, li ha nominati più volte. Il suo elettorato è conservatore, si ritrova in determinati valori tradizionali e, quando sollecitato, risponde in maniera affermativa, anche nelle zone in cui non ce lo si attendeva.

Come quelle terremotate.

Esatto, zone che hanno sofferto molto. Erdogan ha saputo rispondere in maniera forte, promettendo che avrebbe tirato su le loro case, ha detto loro “Datemi un anno, datemi un anno e sarete premiati”. E la gente gli crede perché lui conosce bene il popolo turco e sa toccare le corde giuste e la gente, anche in maniera inattesa da quelle zone, gli ha risposto in maniera affermativa.

Le condizioni economiche della Turchia non sono esaltanti, basti vedere l’inflazione eppure i turchi hanno premiato Erdogan.

Sì, le tasche dei turchi sono sempre più vuote e l’inflazione è altissima, oggi sfiora il 50% ufficiale ma i dati reali parlano del 150%. La disoccupazione quantomeno è a due cifre. E la lira turca si deprezza continuamente nei confronti del dollaro e dell’euro. La cosiddetta Erdoganomics prevede tassi molto bassi, il contrario rispetto ai canoni tradizionali dell’economia. Però, anche in questo caso, quello che conta è che il popolo turco crede che Erdogan sarà capace di risollevare il paese. E gli crede anche quando lui racconta che ovunque nel mondo si vive la stessa situazione di depressione economica. Io credo che lui cambierà registro, non potrà fare un’inversione totale, però sicuramente dovrà adeguare la sua politica economica a canoni più tradizionali. Di questo l’economia turca beneficerà, gli investimenti ripartiranno. La Turchia è un paese che ha un forte commercio con con tutto il mondo, con la Cina e la Russia particolarmente, ma anche con gli Stati Uniti e con l’Europa, in particolare con l’Italia, perché l’Italia è il quinto paese per scambi commerciali, il secondo in Europa dietro solo alla Germania. Quindi è importante che la Turchia, abbia un’economia adeguata. Sono certo che Erdogan, che è tutt’altro che stupido, interverrà in maniera concreta.

Cosa si muoverà la Turchia nelle relazioni con Cina, Usa e Russia?

Con la Russia sicuramente i rapporti si intensificheranno, Putin è stato tra i primi leader a complimentarsi per l’elezione avvenuta ma, del resto, l’hanno fatto anche Joe Biden e Xi Jinping. In questi mesi così cruciali per la sua rielezione Erdogan si è concentrato molto sulla politica interna ma ritornerà presto a battere in maniera forte sulle grandi questioni internazionali. A iniziare dalla guerra in Ucraina per la quale continuerà a cercare una mediazione. Magari non sarà soltanto una mediazione turca, come è stato l’anno scorso con l’organizzazione dei due negoziati, i due tavoli ad Antalya e a Istanbul. Probabilmente coinvolgerà anche altri attori, forse con lo stesso Papa con cui Erdogan talvolta si sente in maniera diretta, e sicuramente i cinesi. Cercherà una mediazione per fare arrivare le due parti a una tregua e quindi a un possibile negoziato. Per quanto riguarda gli Stati Uniti i contenziosi sono tanti, a partire dalla richiesta di Erdogan di ottenere il rimpatrio di Fethullah Gülen, cioè l’Imam accusato di aver organizzato il golpe contro di lui nel 2016, e dal 2000 ormai in esilio in Pennsylvania. Gli Stati Uniti non glielo daranno mai, ovviamente, perché sono uno Stato di diritto pieno. Con la Cina il dialogo è in corso. I rapporti non sono ottimi, sul fronte africano la Turchia è in competizione con Pechino. Una competizione molto abile, molto scaltra, dove Pechino sta cercando di imporre le proprie regole con diversi Stati africani, la Turchia cerca più il dialogo, ha una penetrazione sempre più efficace e forte a livello diplomatico, commerciale, pure religioso; quindi, da questo punto di vista è vincente in tanti paesi dell’Africa.

Il 29 ottobre si celebrerà il centenario della Repubblica turca. Quanto è diversa questa Turchia dalla repubblica laica e nazionalista di 100 anni fa?

È sicuramente diversa, ma al tempo stesso si richiama. Questa è una Turchia che ha un afflato imperiale molto forte. Allora c’era la fine del dell’impero e l’inizio della Repubblica. Però tutto torna, Erdogan si richiama all’impero. Potremmo addirittura definirla una Repubblica imperiale. La politica estera di Erdogan negli ultimi anni lo sta dimostrando in maniera molto evidente. Gli elettori l’hanno premiato anche per questo. I turchi si sentono eredi di un grande passato imperiale, è gente orgogliosa, l’impero è nel loro DNA. Oggi la Turchia non è più un paese secondario, è un paese primario, è un player fondamentale, ha sopravanzato molti paesi occidentali ed europei, tra cui l’Italia, nelle questioni concrete di politica estera, come lo scacchiere libico. E continuerà a comportarsi in questo modo proprio perché la sua posizione geopolitica glielo consente, anche nei mari. La teoria della patria blu ci è d’esempio, non vale soltanto nel territorio della Turchia, ma tutte le acque che ha intorno. E la Turchia sta giocando benissimo la sua partita, pensiamo soltanto al Mar Nero, allo sblocco del grano ucraino che è arrivato grazie agli accordi che sono stati firmati a Istanbul lo scorso anno.  Abbiamo a che fare con una Turchia molto diversa, molto più forte, molto aggressiva, molto molto protagonista. E non è più solo un sogno, un desiderio di Erdogan. La Turchia nel giro di pochi anni è cambiata completamente e darà del filo da torcere a tutti.

Back To Top