Con il 52 per cento delle preferenze, Recep Tayyip Erdogan è stato rieletto presidente della Repubblica di Turchia.
Questo dato, seppur storico, mostra la rilevanza delle divisioni interne alla popolazione e pone importanti interrogativi circa le direzioni che il paese prenderà nel prossimo futuro.
COSA DICONO I RISULTATI DELLE ELEZIONI
I dati elettorali hanno infatti confermato che l’Alleanza del Popolo resta l’opzione preferita dalla popolazione anatolica, storico bacino elettorale del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Akp) di Erdogan, mentre le aree più urbanizzate, incluse Ankara e Istanbul, e le aree costiere continuano a sostenere l’opposizione, che ha anche accresciuto i consensi fra i residenti all’estero.
L’Alleanza della Nazione di Kemal Kılıçdaroğlu sembra tuttavia non aver saputo capitalizzare il montante dissenso verso il presidente e il progetto di inclusività che ha proposto sembra essere destinato a naufragare.
I conservatori che erano stati inclusi nella coalizione, infatti, non hanno realmente sottratto voti all’Akp, i nazionalisti hanno mostrato le loro numerose fratture interne e la scelta dell’ultimo minuto di Kılıçdaroğlu di accettare il supporto delle frange più estreme dell’Alleanza ancestrale – anch’essa spaccatasi all’indomani del primo turno – sembra aver alienato una parte del voto dei curdi.
IL NAZIONALISMO DEI TURCHI
Il dato più evidente è l’esistenza di un forte nazionalismo fra la popolazione, il cui rispetto nei programmi politici sembra aver pesato molto più delle differenti ricette per l’economia o il posizionamento internazionale nelle scelte dell’elettorato.
Emerge anche chiaramente come i numerosi osservatori internazionali e sondaggisti che avevano dato per certa la vittoria dell’opposizione non abbiano in realtà compreso la vera natura delle dinamiche interne della Turchia, la cui maggioranza della popolazione attribuisce alla stabilità e alla continuità politica un valore prioritario.
Le accuse di brogli, che pure entrambe le parti in tenzone hanno sollevato, non sembrano trovare reale fondamento, stante anche il primo report post-elettorale dell’Osce-Odhir in cui si evidenzia come le elezioni si siano svolte in maniera essenzialmente corretta.
A pesare sul risultato elettorale potrebbe essere stato piuttosto il contesto di autoritarismo competitivo in cui il paese ormai versa da tempo, che avrebbe assicurato alla maggioranza uscente una più ampia esposizione mediatica ed un maggiore accesso ai fondi per la campagna elettorale.
La Turchia deve ancora lavorare molto affinché il concetto di democrazia non si esaurisca nel solo periodico ripetersi di elezioni pressoché eque, ma si inveri in un costante rispetto delle reciproche posizioni ed opinioni aldilà del momento elettorale.
Un rispetto che certamente non si è visto in questa campagna elettorale, dove i toni diffamatori sono stati alti da parte di tutti i candidati.
GLI SCENARI DOPO LA VITTORIA DI ERDOGAN
La vittoria elettorale di Erdogan apre adesso a scenari multipli.
Per quanto riguarda l’allineamento internazionale, Erdogan sicuramente confermerà la scelta per una Turchia indipendente da qualunque influenza estera, solido membro della Nato al punto da influire sulle nuove adesioni (come nei recenti casi di Svezia e Finlandia), ma capace di dialogare anche con la Russia di Putin (come il negoziato sul grano ha già mostrato) ottenendone in cambio supporto per l’approvvigionamento energetico di gas e per la costruzione di nuove centrali nucleari, sull’esempio di quanto già avvenuto ad Akkuyu.
La spesa militare dello Stato a supporto dell’iniziativa privata, che ha già portato alla realizzazione degli ormai famosi droni Bayraktar, non dovrebbe venire meno, così come il supporto all’industria civile, soprattutto nel settore automobilistico che ha recentemente prodotto la Togg, prima auto elettrica interamente prodotta in Turchia.
IL RILANCIO DELL’EDILIZIA E DEL TURISMO
Ad esito dello sciame sismico del febbraio 2023, inoltre, si può immaginare che nuovo slancio sarà dato all’attività edilizia, che ha già contribuito al rilancio economico del paese e che potrebbe farlo nuovamente, stante comunque la necessità di trovare un compromesso fra i trend economici internazionali e la ricetta ‘eterodossa’ di Erdogan che punta tagliare i tassi di interesse per contrastare la crescita dell’inflazione.
La lotta alla crisi economica, peraltro, continuerà ad impegnare il governo nel supporto alle famiglie bisognose, per le quali sono già stati predisposti piani di assistenza alimentare e per il pagamento delle utenze.
Il turismo, infine, dovrebbe confermarsi come un settore su cui il nuovo governo investirà sia per attrarre moneta straniera che per rilanciare l’immagine della Turchia a livello internazionale.
I DIRITTI UMANI
Più controverse potrebbero essere le scelte in materia di diritti.
Se il consolidamento della deriva autoritaria dell’ordinamento non può essere escluso, è anche vero che – secondo la Costituzione vigente – questo è sicuramente l’ultimo mandato presidenziale per Erdogan, che potrebbe dunque preferire lasciare un differente ricordo di sé negli annali del paese, ad esempio ricucendo alcune delle fratture sociali.
I due discorsi della vittoria, tenuti rispettivamente a Istanbul e Ankara, hanno già mostrato il desiderio di dialogare con l’intera società, accantonando la dialettica amico/nemico.
Alcuni temi, tuttavia, rimangono assolutamente fuori dalla sfera di interesse del presidente.
Il totale rifiuto di ogni teoria fondata sull’uguaglianza di genere, e quindi sul riconoscimento dei diritti Lgbtqia*, è un dato accertato, ma il rischio che la crisi economica comporti un nuovo indebolimento dovuto ai flussi migratori potrebbe indurre il leader, che sostiene fortemente la teoria che “il numero è potenza”, ad avviare programmi di supporto per le fasce più giovani delle popolazione e ad incentivare il lavoro delle donne – di cui non l’economia non può fare a meno, nonostante una chiara preferenza politica per il loro ruolo di ‘angeli del focolare’ – sostenendo programmi di assistenza alle famiglie e di esenzioni fiscali per le attività di caring.
Una riapertura del dialogo con le minoranze per la pacificazione del paese, infine, potrebbe essere possibile, benché non si riscontrano al momento margini di dialogo con le formazioni dell’estremismo nazionalista curdo, al contrario di quanto avvenuto in passato.
La riconciliazione di queste importanti fratture sociali, tuttavia, sarebbe il più grande lascito che Erdogan, ormai confermatosi come il più longevo leader politico turco, potrebbe fare al paese in vista del nuovo secolo di questa democrazia ancora in cerca di consolidamento.
(Estratto dalla newsletter Appunti di Stefano Feltri; ci si iscrive qui)